Additato come mafioso ma non c’era lui dietro agli incendi delle auto aziendali, l’operaio vuol essere risarcito: verso la decisione

 
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Gela. Con gli incendi delle auto aziendali e di quelle personali

dei dirigenti non c’entrava nulla.

Gli incendi e le accuse. Uno degli allora operai della Smim, storica azienda metalmeccanica dell’indotto Eni, venne ugualmente additato come mafioso dai vertici del gruppo. I pm della procura, però, accertarono l’assoluta estraneità ai fatti dell’operaio che, anche per questa ragione, ha deciso di chiedere un risarcimento. A nove anni di distanza da quei fatti e dopo circa quattro anni di giudizio civile, si va verso la decisione. I legali delle parti preciseranno le loro conclusioni ad inizio del nuovo anno. L’operaio accusato di essere dietro agli atti intimidatori, rappresentato dall’avvocato Francesco Castellana, ha chiesto un risarcimento da circa centomila euro, chiamando in causa la proprietà del gruppo metalmeccanico, che invece si è opposta alle richieste avanzate.

Spetterà al giudice civile del tribunale decidere. L’azione civile avviata dal lavoratore ha avuto come base di riferimento proprio i provvedimenti favorevoli emessi dai pm della procura, che appunto archiviarono tutte le accuse inizialmente ipotizzate nei suoi confronti e ai danni di altri dipendenti della Smim.

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