Affare compensazioni in mano ai gelesi, 112 coinvolti: “Gruppo mafioso autonomo”

 
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Gela. Un elenco quasi senza fine di operazioni fiscali illecite, per milioni di euro. Tutti soldi che secondo i pm della Dda di Brescia sarebbero finiti non solo nei conti personali delle presunte menti, ma anche all’organizzazione mafiosa, che pare si fosse radicata tra Lombardia e Piemonte. Un gruppo che secondo le carte si sarebbe segnalato per “autonomia programmatica, operativa e decisionale rispetto ad altre cosche di Gela”. A muovere tutto, in base a quello che emerge dall’inchiesta “Leonessa”, sarebbero stati Rosario Marchese, Angelo Fiorisi e Roberto Raniolo. Sono i tre principali indagati in un’inchiesta, adesso chiusa dai pm bresciani, che ha toccato in totale 112 persone. Un mare magnum che in pochi anni si sarebbe consolidato nel nord Italia, partendo da Gela. L’inchiesta “Leonessa” ha diversi aspetti in comune con quella “Stella cadente”, coordinata dai pm della Dda di Caltanissetta, ma va anche oltre, proprio per la presunta autonomia dei gelesi che si muovevano tra Lombardia e Piemonte. Sono migliaia le operazioni fiscali illecite ricostruite dagli investigatori, che hanno coinvolto professionisti e operatori del settore, oltre a decine di imprenditori, che si sarebbero affidati al sistema delle compensazioni irregolari per coprire pesanti debiti con l’erario. Sono stati ricostruiti i metodi usati, comprese richieste estorsive e vere e proprie aggressioni ai danni delle vittime. Sarebbe stato questo il marchio di fabbrica dell’organizzazione, in grado di strutturare contatti con importanti gruppi aziendali e con tanti “colletti bianchi”, compresi dipendenti dell’Agenzia delle Entrate e delle Poste. Oltre ai tre presunti vertici, risultano indagati Vincenzo Abruzzo, Cinzia Alasonatti, Luisa Antonini, Salvatore Antonuccio, Giuseppe Arabia, Antonella Balocco, Benoninno Baroni, Rosario Barragato, Ivan Bellanti, Valentina Bellanti, Luisa Bernascone, Roberto Bersi, Milena Beschi, Claudio Bina, Elena Bolle, Omar Bonazza, Rosario Bonelli, Marcello Bresci, Mario Burlò, Gaspare Calafato, Daniela Cambareri, Giuseppe Cammalleri, Richard Campos, Enzo Cardillo, Filippo Carlino, Giuseppe Carlino, Gianfranco Casassa, Roberto Casassa, Danilo Cassisi, Giulio Castelli, Mario Castelluccia, Cinzia Casto, Rosario Catalano, Massimo Cavallaro, Fabrizio Chiarini, Matteo Chindamo, Pierino Chindamo, Giovanni Colla, Matteo Collura, Maurizio Colombano, Giuseppe Coriale, Riccardo Corradi, Fabio Cozzi, Giulio Cristina, Alessia Di Chiara, Simone Di Simone, Francesco Dragone, Luca Faienza, Vittorio Feroleto, Giuseppe Ferrari, Alessandro Fieno, Luca Fiore, Luciano Gemello, Salvatore Genova, Carmelo Giannone, Roberto Golda Perini, Giovanni Interlicchia, Mihaela Ionita, Bernardo La Susa, Domenico Lombardi, Marco Lorenzini, Andrea Malchiodi, Antonino Mandaglio, Ugo Meloni, Alessandro Miccini, Lucia Miccoli, Salvatore Modica, Massimiliano Morghen, Vincenzo Morso, Giuseppe Nastasi, Michele Ortenzio, Luca Pansini, Giuseppe Parisi, Tiziana Pasquali, Rodolfo Poce, Donata Prandelli, Flavio Prandelli, Marinella Rolfo, Monica Rolfo, Andrea Rubello, Arnaldo Rutili, Salvatore Sambito, Alessandro Sartore, Corrado Savoia, Efren Scalvini, Marco Schiavo, Salvatore Sciampagna, Nunzio Sciascia, Filippo Scicolone, Alessandro Scilio, Gervasio Sciumbata, Francesco Scopece, Maurizia Scotti, Giuseppe Serio, Marco Sorrentino, Daniela Spinelli, Marco Tagliavia, Francesco Salvatore Tallarita, Giuseppe Traiano, Fabrizia Tucci, Anna Valentino, Nicola Varacalli, Sonia Varacalli, Gianfranco Vedelago, Nicola Vernile, Luca Verza, Maurizio Volpe, Carlo Zanti e Enrico Zumbo.

Molti dei coinvolti non rispondono di associazione mafiosa, che viene invece contestata ai presunti capi e ai loro riferimenti più fidati. Marchese e altri gelesi che avrebbero gravitato intorno all’organizzazione sono stati coinvolti nell’inchiesta “Stella cadente”. La scorsa settimana, l’imprenditore trentaquattrenne, attualmente detenuto, ha subito una confisca di beni da quindici milioni di euro, perché ritenuti da collegare alla sua vicinanza ai clan. Secondo i pm bresciani, sarebbe stato lui a controllare la presunta organizzazione mafiosa nel nord Italia, riuscendo a procacciare importanti clienti e presunti prestanome in aziende strutturate solo per cedere crediti. L’imprenditore e gli altri presunti capi avrebbero poi intascato le commissioni. Indagati e difensori attendono che i pm formalizzino la più che probabile richiesta di rinvio a giudizio.

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