Appello “Extra fines”, in aula gli imputati: sentiti i fratelli Rinzivillo

 
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Gela. Alcuni imputati, su richiesta dei rispettivi difensori, vengono sentiti, nel giudizio di appello, legato al maxi procedimento antimafia, ribattezzato “Extra fines”. L’istruttoria è stata in parte riaperta. Oggi, in aula, in Corte d’appello a Caltanissetta, i fratelli Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo, condannati in primo grado, seppur con il riconoscimento della continuazione, hanno risposto alle domande, su richiesta del loro difensore, l’avvocato Flavio Sinatra. Un esame scaturito dalla necessità di precisare aspetti delle contestazioni che gli vengono mosse. Per gli inquirenti, che seguirono l’intera inchiesta, sarebbero stati proprio loro, ergastolani e detenuti al 41 bis, a passare il comando del gruppo di mafia, al fratello sessantenne Salvatore Rinzivillo, ritenuto il fulcro della riorganizzazione della famiglia di mafia, che avrebbe ambito a fare affari in diversi settori economici. Nel corso dell’udienza, è stato sentito anche un perito, che si è occupato di valutare il contenuto di intercettazioni, che riguardano la posizione di un altro imputato, Giuseppe Rosciglione.

Le condanne, in primo grado, sono state pronunciate appunto per i fratelli Antonio Rinzivillo (venti anni di detenzione per i fatti successivi al 2008) e Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti). Dodici anni sono stati imposti a Rosario Cattuto, già condannato per il troncone “Druso” (ai giudici di appello il difensore Riccardo Balsamo ha chiesto di sentire un testimone che considera importante per fare chiarezza sulla posizione dell’imputato). In primo grado, il collegio ha disposto la condanna anche per Carmelo Giannone e Angelo Giannone, padre e figlio impegnati nel commercio ittico. In base alle indagini, avrebbero sfruttato la vicinanza di Salvatore Rinzivillo non solo per allargare l’attività in altre province ma anche per riscuotere crediti o pretendere condizioni di favore. Gli inquirenti accertarono che uno dei loro capannoni venne messo a disposizione per una riunione tra esponenti dei clan. Carmelo Giannone è stato condannato a dodici anni di detenzione; Angelo Giannone a sette anni e nove mesi. Ad entrambi sono stati imposti altri quattro mesi, per una delle contestazioni definite con il rito abbreviato, che ha determinato invece l’assoluzione per accuse legate al possesso di armi. Dieci anni e otto mesi sono stati pronunciati per Alfredo Santangelo, imprenditore etneo che avrebbe fatto da tramite economico per i Rinzivillo. Otto anni per Antonio Maranto e sei anni a Giuseppe Rosciglione, che avrebbero dato la loro disponibilità per le messe a posto di operatori del settore ittico, in province dove gli affari dei Rinzivillo, secondo gli inquirenti, si stavano sviluppando. Sei anni e otto mesi sono stati imposti a Francesco Maiale, altro operatore del settore ittico che si sarebbe messo a disposizione. Sette anni di reclusione sono stati decisi per Luigi Rinzivillo, legato a Salvatore Rinzivillo da rapporti di parentela. L’attenzione degli investigatori si concentrò sulla sua sala scommesse, in base alle indagini usata anche per riunioni decise da Salvatore Rinzivillo. Sei anni e otto mesi sono stati pronunciati per Umberto Bongiorno, che attraverso Rinzivillo avrebbe tentato di concretizzare investimenti commerciali nella zona di Roma. Sei anni e otto mesi anche per Vincenzo Mulè, ritenuto molto vicino a Rinzivillo, anche rispetto all’intenzione di riallacciare rapporti negli Stati Uniti. Per le posizioni dei fratelli Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo, ma anche per quelle di Luigi Rinzivillo, Umberto Bongiorno, Rosario Cattuto, Angelo Giannone e Carmelo Giannone, sono state pronunciate assoluzioni, ma solo per alcune delle accuse che venivano mosse. I pm hanno invece impugnato l’assoluzione che il collegio penale del tribunale, in primo grado, ha emesso nei confronti dell’imprenditore Emanuele Catania (difeso dall’avvocato Giacomo Ventura). L’impugnazione è stata decisa per un altro imputato, assolto in primo grado, Giuseppe Licata. Il giudizio di appello si è aperto anche per lui, che è titolare di aziende nel settore dell’autotrasporto e dei mezzi da lavoro. In aula, si torna già mercoledì, con l’esame di altri imputati. Il boss Salvatore Rinzivillo, condannato in primo grado per i fatti dell’inchiesta “Extra fines”, è a sua volta davanti ai giudici nisseni di appello, ma in un altro filone processuale, dato che la difesa ha optato per l’abbreviato.

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