Armi e feriti, scontro tra famiglie rivali: aperto dibattimento dopo l’inchiesta “Revenge”

 
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Gela. Per i pm della procura ci fu un vero e proprio scontro, anche con l’uso di armi, tra due gruppi familiari opposti. Fatti che costituirono la base dell’inchiesta “Revenge”. Per otto coinvolti, dopo il rinvio a giudizio, questa mattina si è aperto il dibattimento davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro e Martina Scuderoni). E’ stato nominato un perito per trascrivere il contenuto delle intercettazioni effettuate dai carabinieri durante le indagini.

Sono a processo Rosario Trubia, Giuseppe Trubia, Vincenzo Trubia, Antonino Raitano, Ruben Raitano, Giacomo Tumminelli, Marco Ferrigno e Giovanni Simone Alario. Ci furono diversi episodi, che gli investigatori hanno ricondotto a contrasti maturati tra i coinvolti. Tutto sarebbe iniziato da alcuni furti. I Raitano e i Trubia si sarebbero accusati a vicenda, anche con minacce e ritorsioni, fino alle armi. Una pistola, nella disponibilità di Antonino Raitano e del fratello Ruben Raitano, sarebbe spuntata durante un primo tentativo di chiarimento. Vincenzo Trubia e i figli Giuseppe Trubia e Rosario Trubia cercarono di disarmare i rivali. Sarebbe partito un colpo, che raggiunse al piede il quarantasettenne Vincenzo Trubia. Nella concitazione, i Trubia sarebbero riusciti ad impossessarsi della semiautomatica. Per gli investigatori, sarebbe stato il ventiquattrenne Rosario Trubia a sparare contro Antonino Raitano. La pistola sarebbe poi stata nascosta nell’ovile della famiglia. I carabinieri, durante le indagini, con intercettazioni, perquisizioni e controlli, riuscirono a ritrovarla. I fratelli Raitano, pare spalleggiati da un altro coinvolto il quarantenne Giacomo Tumminelli, non avrebbero fatto attendere la loro risposta. Sarebbero stati loro a sparare contro l’ovile dei Trubia, usando un fucile a canne mozze. Per i carabinieri e i pm, avrebbero avuto un’altra pistola, una semiautomatica Beretta. L’accusa più grave, di tentato omicidio, è posta a carico di Rosario Trubia, che fece fuoco contro i fratelli Raitano, secondo gli inquirenti con la volontà di uccidere, anche se nel corso dell’inchiesta il giovane ha escluso di aver sparato per causare la morte dei rivali. Il trentacinquenne Giovanni Simone Alario e il cinquantenne Marco Ferrigno, invece, vennero intercettati durante colloqui, in ospedale, con Antonino Raitano. Avrebbero cercato di recuperare la pistola che era finita ai Trubia. In aula, si tornerà a maggio. Questa mattina, la procura e le difese hanno avanzato le richieste istruttorie. Gli imputati sono difesi dai legali Davide Limoncello, Filippo Incarbone, Nicoletta Cauchi, Francesco Enia e Floriana Trainito.

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