Bennato canta la questione meridionale… bella sta storia e chi la sente

 
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Uno dei brani di denuncia del sistema piemontese di Eugenio Bennato: Il sorriso di Michela.

Gela. “La rivolta contro i Cutrara”, dal testo di Michele Antonio Crociata.
Su internet mi è capitato di ascoltare alcune canzonette di Eugenio Bennati, anche lui ricercatore meridionale, una fra tante “Il sorriso di Michela” (https://www.youtube.com/watch?v=BjwngolGl6Y), di seguito il testo:
Bella ‘ sta storia
E chi la sente,
Bella la gente
Ca la racconta
Bella la terra
Ca nun sâ scorda,
Bella Michela
Ca nun s’arrènne…

Tu che stai lì, prigioniera, perché sei donna del Sud
Sul tuo cuore una bandiera che non hai tradito mai
Sul tuo viso un sorriso che per sempre porterai, porterai.

Tu che stai lì, prigioniera, della tua fotografia
Che il nemico ti ha scattato per la sua vigliaccheria
Lui confuso nei trofei non si accorge di chi sei, di chi sei.

Tu sei il sorriso di Michela e così ti metti in posa
E il vestito che tu indossi non è un abito da sposa
E il fucile che tu porti è un fucile vero e non una rosa.

E sei tu che combatti la tua guerra di frontiera
Sei il sorriso di Michela e sei tu donna del Sud
E sei tu che difendi la tua terra di frontiera
Donna bianca, donna nera
E sei tu donna del Sud

Bella ‘sta storia
E chi la sente,
Bella la gente
Ca la racconta
Bella la terra
Ca nun sâ scorda,
Bella Michela
Ca nun s’arrènne…

Tu che stai lì, prigioniera, perché sei donna del Sud,
Così bella, così fiera, nella consapevolezza
Che più forte del brigante non può esserci che la sua brigantessa.

Tu che stai lì, prigioniera, tu sei la fotografia
Che ci parla di una donna che ha il sorriso di una dea,
Che se vive, che se muore, non tradisce mai il suo amore, la sua idea.

Tu sei il sorriso di Michela e colpisci il tuo nemico
Col tuo sguardo di pantera ed il tuo sorriso antico
E la sfida che tu lanci come un fiore dal balcone del tuo Sud.

Bella ‘sta storia
E chi la sente,
Bella la gente
Ca la racconta
Bella la terra
Ca nun sâ scorda,
Bella Michela
Ca nun s’arrènne…

E sei tu che combatti la tua guerra di frontiera
Sei il sorriso di Michela
E sei tu donna del Sud

E sei tu che difendi la tua terra di frontiera
Donna bianca, donna nera
E sei tu donna del Sud.

E sei tu che difendi la tua terra di frontiera
Donna bianca, donna nera
E sei tu donna del Sud.

E sei tu che combatti la tua guerra di frontiera
Sei il sorriso di Michela
E sei tu donna del Sud

E sei tu che difendi la tua terra di frontiera
Donna bianca, donna nera
E sei tu donna del Sud.

Tu sei il sorriso di Michela che non ti sei mai arresa
Sei il sorriso che combatte la retorica infinita
Di chi ha invaso la tua terra per rubare il tuo sorriso
E la tua vita.
Bastano pochi versi per mettere in evidenza chi fossero effettivamente i “briganti” ed Eugenio Bennato con tante canzoni ricorda il nome del brigante Ninco Nanco che deve morire perché se potesse parlare direbbe tante cose di meridionale. Anche lui indottrinato da scrittori del sud. Certo definire briganti gli oppositori di Cavour, Cialdini, Savoia e Garibaldi è una castroneria bella e buona perché sono stati gli unici difensori del popolo del sud, quei patrioti che hanno combattuto come Michela per la dignità del meridione, calpestata e osannata dagli ipocriti e pennivendoli meridionali. Uomini che si sono succeduti dal 1861 fino ad oggi a tutti i livelli. I nostri colonizzatori e assassini, li abbiamo considerati liberatori e noi ipocriti, abbiamo riempito le nostre città con i nomi di questi esseri inutili e predisposti, se ancora vivi, ad essere rinchiusi nelle carceri più profonde del regno, mai unito, d’Italia.
Ci sarà spazio nel mondo siderale!

Visto che le fortezze come fenestrella son diventate musei sacri per i piemontesi, come il museo Lombroso a Torino, simbolo della loro preparazione di studi antropologici, eventuali sistemazione saremo costretti a cercarli altrove.
Comunque nel gennaio del 1862 a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani c’era molta animazione per le strade della città in rivolta, contro lo stato unitario e borghese, propagata in molte città dell’isola e nel meridione. Questa narrazione dei fatti, viene descritta nella tesi di laurea in lettere dell’autore Crociata e discussa il 24 Novembre 1909 alla presenza del Rettore dell’Università di Palermo Prof. Santino Caramella.
Le precarie fonti della provincia, non scoraggiarono l’autore che arricchì le sue conoscenze consultando gli archivi di Stato di Palermo, di Trapani e della chiesa Madre di Castellammare del Golfo; le più profonde conoscenze, sono venute dai resoconti parlamentari della Camera dei Deputati di Torino, concernenti gli anni 1862 – 1863 e dal giornale Trapanese “Diritti e doveri”, nonché dalle testimonianze dei diretti interessati, allora presso i discendenti.
Questa approfondita ricerca, consente oggi di portare a conoscenza dei castellammaresi e ai meridionali del futuro il diritto e il piacere di conoscere una delle pagine più movimentata della storia del meridione. Era esattamente il 5 gennaio 1862 e il “Giornale Officiale di Sicilia” pubblicava la nota di cronaca da Castellammare. I rivoltosi che si erano raggruppati verso il centro della città, cominciarono a sparare dirigendosi verso la caserma dei carabinieri Reali e la casa del Prefetto di Trapani, una nota di Francesco Crispi Siciliano di Ribera ed esponente della sinistra all’opposizione, chiese particolari dettagli dei sanguinosi eventi, accusando il governo di non avere saputo impedire i fatti e così si rivolge al parlamento: “Venti giorni prima dei fatti detestabili di Castellammare, persone di quel comune presentate al luogotenente generale del Re, avvisandolo che andava a scoppiarvi un movimento, indicandovi gli individui che vi avrebbero preso parte e chiedendo provvedimenti. Il sig. Barroso, il quale è stato vittima di quell’insurrezione un mese innanzi aveva denunziato in un giornale di Palermo il complotto che ordivasi, notando nomi e particolari, e così mettendo il governo sulla via della scoperta del reato, il povero Barroso, quasi presago della sventura che andava a colpirlo, scrisse che egli sarebbe stato la prima vittima, nel caso che la reazione fosse scoppiata. Ed infatti egli fu scannato dai ribelli, la sua casa fu abbruciata, e tutta la sua famiglia fu estinta”. Il padre, sessantenne, si trovava per una festa estiva, a casa di un amico, ma venuto a conoscenza dei fatti, si precipitò con il genero di 25 anni nel luogo dove si sparava, ma furono costretti a fuggire, il ragazzo ferito ad un braccio trova riparo rientrando in casa, il Barroso trova rifugio presso la casa di un amico dove viene raggiunto dai rivoltosi e trascinato fuori, barbaramente accoltellato e sparato, il cadavere ancora palpitante fu preso per un braccio dalla bottegaia Caramazza Paola e gettato nel fuoco. Dopo questo assassinio i rivoltosi assaltarono la casa di Bartolomeo Asaro che diedero alle fiamme e la signora Francesca Barroso di 26 anni, incinta, figlia del “Comandante” ucciso e moglie di Girolamo Asaro di Bartolomeo, commissario per la leva obbligatoria, per la paura partorì due gemelli morti negli spasimi. Dopo questa strage, pugnalarono Girolamo e lo buttarono nelle fiamme, stessa sorte tocco al padre di 49 anni mentre la casa in fiamme veniva saccheggiata. I ribelli, alla fine, si diressero verso la casa di Leonardo Giuseppe Calandra che incendiarono, ma il padre e il figlio erano riusciti a mettersi in salvo precipitosamente. Questi avvenimenti del 1862, che coinvolsero molte città della Sicilia, furono tragici e la plebe, approfittando della ingiustizia della legge, si programmò per mettere a ferro e a fuoco le città del meridione. Quando ancora nel 1873 a Torino si discuteva delle leggi eccezionali di P:S: per la Sicilia, un deputata di Castellammare, lamentava al Parlamento di Torino, come tutto veniva disatteso e che i fatti di Palermo del 1866, non meno gravi di quelli di Castellammare,.il governo dei Savoia non li prendeva in considerazione pur avendo ricevuto molti solleciti dalla base. Lo storico Michele Pantaleone, a proposito della mafia siciliana, evidenziava tre fatti importanti, per cui la mafia fosse riuscita a spuntarla sempre in questi ultimi 150 anni.
Il primo riguarda la connivenza e gli interessi comuni che hanno sempre legato i maggiorenti del mondo agrario e i capimafia; il secondo motivo è legato alla trasformazione dei capimafia in gabelloti e campieri in sintonia con gli uomini politici i cui interessi elettorali erano condizionati dal sistema feudale; un terzo motivo, va visto nell’omertà cioè nella solidarietà e istintività che unisce, a danno dello Stato, tutti quegli individui e quegli strati sociali che amano trarre l’esistenza e gli agi non dal lavoro ma dalla violenza, dall’inganno e dalla intimidazione. Va pure considerato che i mafiosi riescono ad ottenere l’assoluzione per insufficienza di prova e se mai venissero condannati riescono facilmente ad emigrare clandestinamente. Questo sistema magari conosciuto in Sicilia prime dell’occupazione dei Piemontesi fu, subito dopo l’occupazione dalle forze politiche liberale, rafforzato, esaltato e praticato sistematicamente. Questa l’eredità della colonizzazione dello stato Sabaudo che noi siamo stati capaci di dimenticare e così non possiamo né vogliamo ricordare assolutamente niente.

2 Commenti

  1. Scomparsi i grandi meridionalisti, oggi imperversano “sudisti alle panelle” che, servendosi di una storia a fumetti, cercano di addebitare a Garibaldi la responsabilità del fallimento delle politiche dei governi regionali dall’unità in poi.
    Se su Giuseppe Nicola Summa, detto Nico Nanco, non ci si informasse sulle canzonette, si saprebbe che apparteneva a una famiglia che praticava il brigantaggio, era stato condannato nel 1856 a dieci anni di prigione per tentato omicidio; evaso nel 1860 aveva cercato di arruolarsi prima nei garibaldini poi in varie unità locali di orientamento filo-piemontese ma era stato rifiutato. Entrato quindi in contatto con Crocco, aveva iniziato l’attività brigantesca della quale furono vittime innanzi tutto i suoi conterranei.
    Informo i lettori del “Giornale” che 1. perfino gli inventori della infame invenzione sul “lager di Fenestrelle” – che Maganuco storpia in “fenestrella” – hanno smesso di far finta di crederci; 2. Santino Caramella non ha mai ricoperto l’incarico di rettore dell’Università di Palermo e di certo non poteva laureare chicchessia nel 1909 mentre frequentava il liceo; 3. Sulla rivolta di Castellammare del Golfo Salvatore Costanza, che è uno storico serio, pubblicò nel 1989 un ampio studio – che riprendeva il saggio “La rivolta contro i “cutrara” a Castellammare del Golfo (1862) apparso in “Nuovi quaderni del Meridione”, n. 16, 1966 – oggi disponibile nel sito “trapaninostra.it”; 4. sulla storia della Sicilia post-unitaria esistono migliaia di libri; se non li si legge, non si capisce di chi sia la colpa.

  2. Mi scuso con i lettori per il lapsus nel commento precedente. Ovviamente mi riferivo ai governi regionali “dal dopoguerra in poi”.

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