Blitz “Carte False”, c’è anche un gelese tra gli arrestati

 
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Gela.Tra i 52 arrestati nell’ambito del blitz “Carte false” c’è anche il gelese Giuseppe Ballacchino, 30 anni, posto ai domiciliari.

Gli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri di Agrigento e Catania nell’ambito di un’indagine su un’organizzazione di trafficanti di droga che gestiva anche una truffa con false buste paga della Marina usate per ottenere credito. 

I reati contestati a vario titolo sono associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, produzione, traffico e detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale, falsa identità personale in concorso, associazione a delinquere, falsificazione di documenti personali e buste paga della marina militare usate per truffe ai danni di centri commerciali e negozi di informatica, ricettazione.
Con la stessa ordinanza, il Gip ha disposto il sequestro del bar “Capriccio” in piazza Linares a Licata, di una Bmw e di una Fiat “Panda” a due degli indagati. Le indagini, cominciate nel 2009 hanno fatto luce su un gruppo criminale che trafficava grosse quantità di cocaina, hashish, marijuana, ecstasy e anfetamine. Gli stupefacenti venivano poi spacciati, attraverso una rete di pusher, in discoteche e locali notturni del Catanese ma anche a Taormina, Giardini Naxos, Licata e fuori dalla Sicilia a Rimini e Roma.

È stata accertata l’esistenza di rapporti tra i capi dell’organizzazione e appartenenti alla cosca mafiosa catanese dei Laudani e con “grossisti” catanesi di stupefacenti ritenuti vicini ai clan. Per questo la Procura di Agrigento, che con il sostituto Luca Sciarretta e con l’aggiunto Ignazio Fonzo aveva coordinato l’indagine nella sua prima fase, ha trasmesso gli atti alla Dda di Catania. L’attività investigativa ha svelato inoltre una serie di truffe consumate ai danni di diverse società finanziarie: sotto falso nome, grazie a documenti personali e buste paga contraffatti con programmi informatici, gli indagati acquistavano televisori, cellulari, computer ed elettrodomestici per un valore di centinaia di migliaia di euro. I prodotti venivano poi, in alcuni casi, rivenduti sul mercato nero per procurarsi i capitali da reinvestire nel lucroso traffico di sostanze stupefacenti.

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