Borges e la débâcle del giornalismo italiano

 
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Jorge Luis Borges

In occasione dei funerali del compianto conduttore televisivo Fabrizio Frizzi, che si sono celebrati a Roma il 28 marzo scorso nella Chiesa degli artisti in Piazza del Popolo, si è verificata una gaffe mediatica particolarmente significativa che rivela sia le carenze professionali della stampa italiana sia il carattere fittizio di certe presunte emergenze culturali relative alla rete che la stessa stampa ama ingigantire. La gaffe ha avuto origine dal modo toccante in cui l’attore e conduttore televisivo Flavio Insinna ha scelto di ricordare l’amico e collega scomparso. Insinna ha esibito un foglio e, senza nulla dire (giustamente, come vedremo) sulla paternità del testo, ha letto una bella poesia sull’amicizia, che subito dopo molti giornali hanno riportato integralmente sui loro siti on line.
Ebbene, cos’è accaduto? Si può ipotizzare ragionevolmente che l’autore del servizio di qualche agenzia di stampa autorevole (come l’Ansa, per esempio) abbia voluto togliersi la curiosità di cercare in rete l’autore della poesia e che, fermandosi ai primi risultati della ricerca, abbia creduto di trovare la risposta: autore della poesia “Amicizia” è l’argentino Jorge Luis Borges (1899-1986), uno dei più grandi scrittori del Novecento, parola di Internet. Da qui l’informazione è stata ripresa a catena da tutte le altre testate, dalle più grandi (come “Repubblica” e “Corriere della sera”) alle più piccole e periferiche. In tal modo, chi nel pomeriggio del 28 marzo avesse fatto una ricerca con Google digitando per esempio “Insinna amicizia Frizzi” avrebbe trovato schermate intere di siti di informazione che riportavano tutti la stessa notizia: Insinna aveva omaggiato Frizzi con i versi di Borges. Bello, no? Peccato che sia quasi certamente falso.
Quella poesia, infatti, circola in rete da diversi anni (e non solo in italiano) e la sua attribuzione a Borges è infondata. Se la si cerca, si scopre che essa è sì citata in molti blog, forum e social network accanto al nome di Borges, ma il nome dell’autore non è mai accompagnato dall’indicazione del titolo dell’opera in cui si dovrebbe trovare. E questo per una buona ragione: con ogni probabilità Borges non ha mai scritto quei versi e la sua paternità è un caso classico di falsa attribuzione divenuta virale. Ma attenzione: potrebbe anche darsi che un giorno si scopra un autografo borgesiano con i versi di “Amicizia” (intanto si può affermare con certezza che essa non compare nel “canone” dell’opera di Borges costituito, in Italia, dai due Meridiani Mondadori). Non è impossibile che ciò accada, così come non è impossibile che un giorno si scopra che l’autore di “Vitti ’na crozza” è Pirandello. Il problema qui è di metodo: i giornalisti che hanno rilanciato quella che per il momento è certamente una fake news non hanno fatto nell’occasione alcuna verifica, limitandosi per pigrizia a un semplice copia-e-incolla tanto più grave in quanto relativo a uno dei mostri sacri della letteratura occidentale contemporanea. E non solo. Come vedremo tra poco, i giornali italiani avevano già in memoria l’informazione che quella poesia è di autore anonimo, per cui hanno dimostrato di essere non solo superficiali ma anche smemorati.
È interessante anche notare quello che è accaduto tra mercoledì 28 e giovedì 29. Forse a seguito di alcune segnalazioni della gaffe sui social network, come Facebook e Twitter, il “Corriere” e “Repubblica” hanno modificato gli articoli scrivendo o che la poesia è solo attribuita a Borges o che essa è di autore anonimo, mentre l’Ansa non ha ancora corretto (come risulta dal mio ultimo accesso all’articolo del 28 marzo effettuato nel pomeriggio del 31). Tutto ciò senza informare i lettori e soprattutto creando confusione, perché negli stessi articoli l’informazione sbagliata è rimasta nei titoli o nei sommari dei richiami in homepage del servizio.
Come accennavo sopra, c’è un fatto ulteriore che rende la vicenda ancora più sconcertante. Nel 2016, trovandosi in visita di Stato in Argentina, l’allora primo Ministro Matteo Renzi, nel corso di un discorso tenuto all’Università di Buenos Aires, volendo blandire il dotto pubblico pensò bene di recitare in spagnolo alcuni versi della stessa poesia, naturalmente attribuendola a Borges, che per gli argentini è una gloria nazionale. Anche in quel caso la gaffe venne smascherata in rete e giornali come “Repubblica” ripresero la notizia costruendoci sopra un vero e proprio servizio con tanto di documento video imbarazzante per un Capo di Governo, inchiodato per sempre a un infortunio plateale. In quel caso parve chiaro che l’errore fosse da attribuire allo staff incaricato di predisporre il discorso: non è difficile infatti immaginare il solerte collaboratore che, ansioso di far fare una bella figura al Premier, cerca velocemente in rete una bella citazione del massimo poeta argentino e cade nella trappola della toccante poesia attribuita a Borges.

Come si vede, a lasciare perplessi non è tanto lo sfondone giornalistico quanto piuttosto il fatto che la nostra stampa sembra vittima dello stesso male che in genere si rimprovera al comune cittadino: lo smemorato appiattimento sul presente, aggravato dall’incapacità di effettuare quei controlli minimi che consentono di non assimilare e diffondere bufale. In questo caso, peraltro, bastava poco per non cadere in fallo, perché in rete non si trova solo la falsa attribuzione della poesia ma anche qualche articolo che la spiega. Basta solo non fermarsi ai primi risultati di una ricerca e individuare i siti affidabili.
Quale lezione trarre da questo episodio di pessimo giornalismo? Innanzi tutto notiamo la comicità di tutta la storia: a inventarsi una sorta di battaglia culturale contro le fake news della rete è stato proprio Matteo Renzi nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo scorso, e in questa battaglia egli ha ricevuto il pieno sostegno proprio di quei grandi giornali che hanno contribuito a diffondere la bufala sull’autore della poesia “Amicizia”. Non solo, ma questi giornali hanno potuto correggere la gaffe proprio grazie alla prontezza della rete, la cui caratteristica principale è quella di ospitare e diffondere rapidissimamente sia le notizie false sia le loro smentite circostanziate. Tutto ciò mostra quanto siano ancora lontani i nostri giornali mainstream da quella funzione educativa che Umberto Eco raccomandava loro. Secondo il grande studioso i giornali avrebbero dovuto dotarsi già da molti anni di rubriche tecniche finalizzate allo smascheramento delle bufale che circolano in rete (e non solo), fornendo nel contempo indicazioni utili ai lettori su come consultare, confrontare e gerarchizzare in base all’affidabilità le fonti delle informazioni, a cominciare dai siti internet. Tutto questo, però, è ancora affidato all’iniziativa personale di qualche giornalista particolarmente avveduto, ed è ben lungi dal presentarsi come un’attività “pedagogica” sistematica. Una prova drammatica di questo imbarbarimento culturale è fornita proprio dall’episodio recente qui discusso, in cui la stampa di punta di un paese tradizionalmente colto come l’Italia agisce in modo approssimativo e maldestro persino quando si tratta di un sommo poeta, peraltro innamorato del nostro Dante.
Vale la pena concludere sottolineando la triste ironia di tutta la vicenda, che si presenta come lo scimmiottamento e il rovesciamento di una situazione tipicamente borgesiana. Borges, infatti, è stato notoriamente anche un maestro insuperabile delle bibliografie immaginarie e nelle sue opere abbondano titoli di libri inesistenti attribuiti ad autori altrettanto inesistenti (il caso forse più famoso è costituito dal libro poliziesco “The God of the Labytinth” di un certo Herbert Quain). Ebbene, chi ha diffuso la bufala secondo cui egli sarebbe l’autore di “Amicizia” probabilmente voleva solo lanciare una burla borgesiana al contrario (con autore e opera questa volta reali), sapendo che legioni di stolti, tra cui alcuni giornalisti di testate importanti e persino i responsabili della comunicazione di un primo Ministro proveniente dalla terra di Dante, non avrebbero capito il gioco.

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