Boss per minacciare ex operaio Conapro, cadono accuse: assolti Ingargiola e Sciascia

 
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Gela. La richiesta finale era pesante, sette anni e sei mesi di reclusione ciascuno, per uno degli ex vertici del consorzio Conapro, Nicola Ingargiola, e per l’imprenditore Filippo Sciascia. Secondo il pm della Dda di Caltanissetta Davide Spina avrebbero tentato di intimidire un ex dipendente del consorzio, che avviò un’azione per ottenere somme maturate durante la sua attività. Le accuse nei confronti dei due imputati sono cadute e il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Francesca Pulvirenti), ha disposto il non doversi procedere “per difetto di querela”. Una pronuncia direttamente legata al fatto che la contestazione iniziale di estorsione è stata derubricata. La difesa, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, anche con le conclusioni esposte davanti al collegio, ha messo in dubbio l’intera ricostruzione d’accusa. Secondo la Dda, Ingargiola e Sciascia era a conoscenza della vertenza avviata dall’operaio e per convincerlo a rinunciare lo avrebbero fatto minacciare da Salvatore Cavaleri, all’epoca esponente di Cosa nostra locale. Il legale dei due imputati ha escluso anzitutto la sussistenza delle condizioni giuridiche alla base dell’eventuale reato di estorsione. Inoltre, ha ricordato la decisione che in passato i giudici emisero nei confronti di Ingargiola, assolto nella vicenda processuale scaturita dalle infiltrazioni mafiose nel consorzio Conapro (tra i più importanti dell’intero indotto Eni almeno fino all’esclusione), “come chiesto anche dal pm”, ha detto. Lo stesso Sciascia non avrebbe avuto alcuna intenzione di minacciare l’operaio, nonostante l’accusa abbia parlato di ammissioni su questo punto. Per la difesa, non ci sarebbero state valide ragioni per chiedere a Cavaleri di minacciare l’operaio, dato che la vertenza riguardava la corresponsione di due milioni delle vecchie lire, a fronte di un fatturato annuo del consorzio che poteva arrivare fino a trentacinque miliardi, come ricordato anche da Ingargiola nel corso della sua deposizione.

Dai banchi d’accusa, per supportare la linea della colpevolezza, è stato sostenuto che le vertenze si risolvono “davanti al giudice del lavoro e non mandando il mafioso di turno”. I giudici del collegio hanno però ritenuto di dover derubricare. Il difensore ha spiegato che “non ci fu nessun profitto ingiusto” né “l’altrui danno”.

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