Cade accusa mafia, 4 anni e 6 mesi a maresciallo Primo: assolti altri tre carabinieri

 
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Gela. Non ha avuto rapporti con il clan Alferi. Il collegio penale del tribunale ha escluso il concorso esterno in associazione mafiosa che veniva contestato, insieme ad altri reati, al maresciallo Giovanni Primo. Quattro anni e sei mesi di reclusione, questa è la decisione emessa nei suoi confronti. Il militare finì al centro di una vasta indagine. Era accusato di aver sfruttato la sua posizione di vertice al reparto territoriale di via Venezia per organizzare una fitta rete di rapporti, compresi quelli con il gruppo di Peppe Alferi. E’ caduto il concorso esterno, ma Primo è stato comunque condannato per concussione, corruzione e per una falsa testimonianza resa in un procedimento civile a favore dell’esercente Giuseppe Catania, a sua volta condannato ad un anno e quattro mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione (difeso dall’avvocato Maurizio Cannizzo per lui dai banchi d’accusa era arrivata la richiesta di condanna a due anni di detenzione). La difesa di Primo, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, anche nel corso della discussione finale, durata diverse ore, ha ribadito che l’imputato avrebbe agito sempre nel rispetto dei doveri della divisa e del ruolo di comando svolto al reparto territoriale. Nei suoi confronti, il pm della Dda di Caltanissetta Matteo Campagnaro, al termine della requisitoria, aveva chiesto la condanna a dieci anni e cinque mesi di detenzione, ritenendolo responsabile, tra le altre imputazioni, di aver agito insieme al gruppo Alferi. I suoi rapporti sono stati il fulcro dell’inchiesta. Le accuse sono cadute anche sulle ipotesi di truffa, estorsioni e rivelazione del segreto d’ufficio. Erano decine i capi di imputazione contestati al carabiniere, che per anni è stato in servizio in città, fino all’arresto eseguito dai suoi stessi colleghi. Secondo le accuse, avrebbe ricamato una fitta trama di rapporti di comodo, a tutela di imprenditori ed esercenti a lui vicini, sfruttando, in base all’esito delle indagini, i presunti rapporti con gli Alfieri. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Silvia Passanisi), ha rivisto le contestazioni, anche a seguito di alcuni capi già prescritti. Altri tre carabinieri, ai quali non veniva contestato il concorso esterno in associazione mafiosa, hanno ottenuto una piena assoluzione. “Il fatto non sussiste” per Salvatore Gurrieri (difeso dall’avvocato Giuseppe Di Stefano), Ernesto Licata D’Andrea (rappresentato dai legali Camelo Tuccio e Francesco Cottone) e Marco Sassone (con l’avvocato Flavio Sinatra).

I tre militari vennero arrestati, perché ritenuti inseriti nel presunto sistema strutturato da Primo. Hanno sempre negato qualsiasi illecito. Le difese, nel corso del dibattimento e durante la discussione finale, hanno parlato di militari pronti a rispettare i doveri della loro appartenenza all’Arma. La decisione di primo grado viene considerata come una “liberazione” per i tre, che sono stati destinatari di pesanti accuse, soprattutto per il ruolo ricoperto. L’assoluzione con formula piena (il pm aveva chiesto il proscioglimento ma con l’ipotesi dubitativa) è stata accolta favorevolmente dagli imputati e dai loro legali. La stessa decisione è arrivata anche per Angelo D’Andrea e Giacomo D’Andrea (rappresentati dall’avvocato Flavio Sinatra), Roberto Motta, Daniele Russello, Rocco Di Caro e Andrea Alessi. Erano, a vario titolo, accusati di aver ottenuto favori da Primo o di aver dato seguito a sue richieste. Sono stati difesi dagli avvocati Nicoletta Cauchi, Angelo Licata, Fabrizio Ferrara, Antonio Gagliano e Rudi Maira. Il non doversi procedere è stato disposto per la posizione dell’imprenditore Orazio Spadaro, deceduto negli scorsi mesi (era difeso dall’avvocato Giacomo Ventura). Primo e Catania dovranno risarcire i danni alle parti civili. L’esercente dovrà farlo nei confronti di una ex dipendente, rappresentata dall’avvocato Davide Limoncello, a danno della quale sarebbe stata prestata una falsa testimonianza, penalizzandola in una vertenza lavorativa che aveva avviato. Primo, invece, dovrà risarcire il Ministero dell’interno, parte civile con l’Avvocatura dello Stato (rappresentata dall’avvocato Giuseppe Laspina).

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