Carabinieri in un video fasullo, 4 anni ad Alferi e Giovane: “Ombre sui colleghi”

 
0

Gela. Avrebbero voluto incastrare quattro carabinieri, già in servizio presso il nucleo operativo della caserma di via Venezia, attraverso un video, artefatto, che li ritraeva impegnati nel dare alle fiamme la Mercedes classe A di un pregiudicato parcheggiata in via Po, nel quartiere Sant’Ippolito.

Alla fine, il giudice Domenico Stilo ha condannato a quattro anni di reclusione con l’accusa di calunnia sia Giuseppe Alferi, attualmente detenuto sotto regime di 41 bis nel penitenziario di Viterbo, sia il suo fedelissimo Francesco Giovane.
“Ci troviamo davanti – ha detto in aula l’avvocato di parte civile Gaetano Cantaro – ad una pagina buia nella storia delle forze dell’ordine locali. Dal dibattimento emerge la presenza di stretti contatti tra alcuni carabinieri del reparto territoriale ed esponenti della criminalità organizzata”.
Il legale ha rappresentato i quattro militari che finirono nel mirino degli imputati. Si tratta di Vincenzo Giuca, Stefano Di Simone, Giovanni Rizzo e Francesco Mangialardo, tutti costituitisi parte civile. In base al dispositivo letto in aula dal giudice Domenico Stilo, Alferi e Giovane, partecipando al tentativo di artefare il video, avrebbero calunniato i quattro carabinieri.
“Purtroppo – ha spiegato il pubblico ministero Elisa Calanducci – è un processo monco. Quello che è emerso in dibattimento contrasta nettamente con ciò che è stato deciso in fase di udienza preliminare”. In fase d’udienza preliminare, infatti, arrivò il proscioglimento per i carabinieri Nicolò Bulone, Claudio Gabrovic, Nunzio Arancio, Rocco Tremoliti e Alberto Greco, accusati di falso e rivelazione d’atti d’ufficio.
Nel corso dell’intero dibattimento, sono emerse ombre proprio sulla condotta dei colleghi dei quattro militari finiti al centro dell’intera vicenda. Tutto ebbe inizio con l’incendio di una Mercedes classe A, andata in fiamme nell’ottobre di cinque anni fa in via Po.
Le immagini riprese dal sistema di videosorveglianza installato nell’abitazione di Francesco Giovane avrebbero immortalato, con evidenti tagli, i quattro carabinieri durante le fasi del rogo. Quel video, fatto recapitare attraverso il titolare di un supermercato di via Tevere direttamente ai militari del nucleo operativo è risultato, però, del tutto modificato.
La presenza delle parti civili in quella zona era giustificata solo da un’attività d’indagine portata avanti proprio nei confronti del proprietario della Mercedes data alle fiamme. Qualcuno cercò d’incastrarli venendo a conoscenza dell’indagine? Il dubbio, allo stato attuale, rimane.
“Gli imputati – ha detto l’avvocato difensore Maurizio Scicolone – sono solo le vittime di un sistema molto più grande di loro”. La richiesta del pm Calanducci è stata di cinque anni di reclusione per entrambi. In base alle risultanze del dibattimento, il presunto boss Giuseppe Alferi e lo stesso Francesco Giovane avrebbero preso parte al tentativo di mettere nel sacco i quattro carabinieri. La strategia, decisamente più complessa, venne orchestrata da altri?
“Alferi e Giovane – ha ribadito il pubblico ministero – sono rimasti incastrati. Solo loro conoscono la verità dei fatti. Comunque, i tagli del video vennero effettuati fin dall’origine. L’aspetto triste di tutta questa vicenda sta nella commistione tra alcuni carabinieri e diversi pregiudicati”. Il difensore Maurizio Scicolone, prima della chiusura del dibattimento, ha chiesto di poter ascoltare il collaboratore di giustizia Emanuele Cascino, già componente di spicco del gruppo Alferi.
Nel dispositivo, il giudice Stilo ha riconosciuto ai quattro carabinieri danneggiati, oltre al diritto ad ottenere un eventuale risarcimento in sede civile, una provvisionale da diecimila euro ciascuno. I dubbi espressi dalla pubblica accusa non hanno trascurato neanche le dichiarazioni rese in aula, in qualità di testimone, dal maresciallo Giovanni Primo, arrestato negli scorsi mesi con l’accusa di aver avuto stretti rapporti proprio con esponenti della banda Alferi. Il giudice Stilo ha deciso d’inoltrare gli atti alla procura affinché si possa accertare l’eventuale ipotesi di falsa testimonianza.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here