Cavour tra prostituzione e riciclo di denaro: Lo stratega del Risorgimento italiano

 
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Gela. Il conte Camillo Benso utilizzò, per portare avanti la sua politica di grande stratega, la bella cugina e contessa, Virginia Oldoini Rapallini, moglie del conte di Castiglione e amante di molti vip del tempo. La donna era nota anche per avere fatto divertire il re dei francesi, meritandosi nel tempo l’appellativo di “Nicchia”.

Il noto conte di Cavour regalò Nizza e Savoia alla Francia e, il 30 ottobre 1789, la Corsica con l’intento di accaparrarsi la fiducia della stessa nella conquista del regno delle due Sicilie. Diede, inoltre, mano libera agli inglesi nel mediterraneo per sfruttare le miniere di zolfo della Sicilia e ottenere finanziamenti dalla massoneria Inglese indispensabili a finanziare la guerra contro i Borboni.

Al padre della Castiglione aveva promesso il posto di segretario a San Pietroburgo, ma solo a missione compiuta. “Nicchia” era stata definita da Urbano Rattazzi l’aveva “vulva d’oro del nostro risorgimento”.

Con il convegno di Plombieres si assicurò la partecipazione al trattato con un costo di vite umane spaventoso nella guerra di Crimea, combattendo con i francesi contro l’Austria.

I fondi vennero raccolti, coinvolgendo la comunità americana del New England che raccolse 3 milioni di franchi francesi con il consenso della massoneria di  Edimburgo ad assumersi l’incarico dell’operazione.

Lo storico Giulio Di Vita, trovò le tracce di questa max operazione che fu convertita in milioni di piastre Turche, moneta molto utilizzata nel mediterraneo.

Queste operazioni, venivano favorite dai grossi finanziatori per coprire la tracciabilità del denaro.

Il conte di Cavour si incontrò a Parigi, nel 1856, con Lord Clarendon, inviato di Lord Palmerston che garantirono il successo dell’operazione, tramite l’ambasciatore James Hudson a Torino e Henry Elliot a Napoli.

L’intermediario utilizzato dagli inglesi era l’eroe dei due monti, Giuseppe Garibaldi, a cui venne consegnato il tesoretto più quello raccolto dalle dame torinesi, nel massimo segreto, perché l’operazione dello sbarco in Sicilia, non potesse essere conosciuta dall’Europa non massonica e liberale.

Però il re e Cavour si erano impegnati a fornire le due navi, il Lombardo e il Piemonte per trasportare gli uomini di cultura del risorgimento italiano in Sicilia.

Il contratto di affitto delle navi fu firmato nella massima segretezza da Cavour con l’impegno di saldare la differenza a 180 giorni.

In Europa incominciavano a filtrare le prime preoccupazione e l’ambasciatore britannico Cauley, informò il ministro Clarendon dell’interesse che l’imperatore dedicava alla bellissima Virginia Nicchia Castiglione, relazione che avrebbe condizionato l’esito del congresso, ancora più preoccupato il plenipotenziario Austriaco Hubner che informò il suo governo della passione di Napoleone III.

Intanto, i Savoia avevano accumulato oltre 500 milioni di debito pubblico che per Cavour significava la bancarotta se Napoleone non fosse intervenuto nella battaglia contro l’Austria ma Napoleone rispettò i patti presi con Virginia Nicchia e a Plombieres, con Cavour, che con una serie di provocazione studiate a tavolino, riuscì a fare scendere in guerra gli Austriaci.

Il 2 aprile 1857, l’attentato contro l’imperatore, forse perpetrato dalla stessa regina Eugenia, che voleva mettere un punto a questa relazione, stava mettendo in crisi la relazione con Nicchia che continuò a frequentare l’high society, con molta cautela.

Vittorio Emanuele II e Cavour, si erano impegnati con Napoleone III a scendere in campo con 150 mila soldati, ma a stento ne portarono 50 mila, gli altri non risposero al comando, mentre Napoleone III ne aveva promesso 120 mila e 120 mila raggiunsero Molano via Genova.

I piemontesi mancavano anche di fucili e munizioni varie, dovevano attraversare l’Adda e l’Oglio ma non avevano l’attrezzatura adatta, mancavano i cannoni perché non avevano i muli da trasporto, perciò erano rimasti a 300 chilometri di distanza, così il bombardamento di Peschiera fallì miseramente.

Cavour, conoscendo l’esito della battaglia, era preoccupato che il re prendesse il comando delle operazioni e questa iniziativa lo preoccupava più dell’esercito Austriaco. Questo scriveva al cugino Costantino Nigra e pretese che il generale La Marmora prendesse il comando delle operazioni. Lo scontro avvenuto a Magenta, il 4 giugno 1859, presenta il re con la spada sguainata per l’impegno e l’ardore della battaglia, mentre in realtà si trovava a 12 chilometri di distanza; grazie al prodigio degli storici prezzolati, le truppe non avevano subito nessun ferito, Napoleone III il vincitore lo definì: buono per reggere i gradi di un caporale.

La battaglia finale, si svolse a Solferino, ma Napoleone visto l’esito dell’operazione precedente sostenta solo dalla Francia, si fermò a mezza via, chiese e concluse un accordo con l’Austria che acconsentì e l’Austria per chiudere le ostilità donò la Lombardia che fu ceduta ai Savoia, ma Cavour non soddisfatto, prese a calci tutto quello che si trovava sotto i piedi e freddamente salutò Napoleone III.

Ancora una volta aveva pensato di dividere l’Italia in tre assi: il nord sotto il dominio del Piemonte; il centro da affidare al cugino dell’imperatore; il sud lasciarlo ai Borboni o darlo all’altro cugino Luciano Murat figlio di Gioacchino Murat di Napoli.

I piemontesi, non soddisfatti dell’esito della pace conclusa, scandagliarono sgherri in tutti gli stati italiani e a Parme, Firenze, Modena e Reggio Emilia con le tasche pieni di soldi perché questi provocassero e corrompessero i rivoluzioni e favorire l’annessine al Piemonte dei piccoli stati.

Operazione che infastidì molti governanti e anche il re dei Francesi che forse Cavour non morì di morte naturale ma fatto avvelenare per vendetta e per ordine da Napoleone III.

L’operazione non sortì a niente di spontaneo, duchi e granduchi lasciarono i loro palazzi e questi furono abitati da commissari regi come Luigi Carlo Farini a Modena, Adeodato Pallieri a Parma, Massimo d’Azegli a Bologna e Carlo Boncompagni a Firenze che si comportarono da veri assassini, devastarono, uccisero, derubarono e saccheggiarono senza scrupoli.

La stampa Torinese disse che i fuoriusciti avevano portato via tutto anche l’oro, falsità perché a Modena gli uomini di Farini, chiamarono i sarti per modificare i panni del duca che era più grasso di Farini.

Fecero sloggiare dalle università uomini illustri come Bartolomeo Veratri, Ferdinando Casoli, Giuseppe Bianchi (astrologo), Marc’Antonio Parenti (filologo)e al posto misero dei somari incapaci, operazione utilizzata nel regno delle due Sicilie, lì a difendere il nostro onore intervennero i briganti e il 10 aprile 1860 venne presentata una protesta ufficiale “protestiamo come cittadini decantati liberi e contro tutte le arti, i soprusi, le angherie cui si è sforzata la nostra volontà… I plebisciti fatti dai piemontesi sono risultati tutti falsati e il giornale “Nizzardo”, che ne denunciò i misfatti in un clima di vessazione, venne sequestrato e immediatamente chiuso. “W l’Italia unita”.

1 commento

  1. Difficile ormai stabilire se Maganuco massacri con maggiore efferatezza la grammatica e la sintassi o la storia italiane. Qui si scopre, ad esempio, che Cavour, nato il 10 agosto 1810, cedette la Corsica alla Francia il 30 ottobre 1789 in vista della conquista del Regno delle Due Sicilie nel 1860 e lasciò mano libera agli inglesi per il controllo del mercato dello zolfo, che era libero dal 1840, nella Sicilia che era parte del regno borbonico. Poi abbiamo la massoneria inglese che col sostegno di quella americana raccoglie tre milioni di franchi francesi in piastre turche, che sul mercato internazionale nessuno accettava e si usavano solo per gli scambi commerciali con l’impero ottomano: come se qualcuno quarant’anni fa avesse cambiato un milione di dollari in zloty “per evitare che fossero tracciabili”. E checché ne dica la geografia massonica, apprendiamo che la guerra «di Crimea» fu combattuta contro l’Austria.
    Il solito guazzabuglio incoerente di nomi, luoghi e date nel quale sono volgari ma sbagliati pure i pettegolezzi, perché «Nicchia» è il diminutivo di Virginia e lo aveva coniato la nonna della futura contessa di Castiglione.

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