“C’era bisogno del permesso di Di Giacomo per aprire la bottega”, esercente parla in aula

 
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Gela. Fu avvicinato da quelli che per gli investigatori erano emissari del boss stiddaro Bruno Di Giacomo. Per aprire una rivendita di frutta e verdura, nel cuore del centro storico, l’ambulante Saverio Scilio doveva ricevere l’autorizzazione dello stesso Di Giacomo e garantirgli, ogni mese, “un regalo”. E’ stato proprio l’ambulante, che denunciò ed è costituito parte civile nel giudizio (rappresentato dall’avvocato Alessandra Campailla), a raccontare quanto accaduto tra 2018 e 2019, sentito davanti al collegio penale del tribunale (presieduto dal giudice Miriam D’Amore). Gli stiddari pare che fossero andati a bussare, già prima, alla porta di una delle sue rivendite. “Volevano 500 euro”, ha spiegato. Soldi, come ha riferito, che sarebbero dovuti servire ad uno degli storici capi stiddari in carcere, Enrico Maganuco. Altri coinvolti nell’inchiesta “Stella cadente” avrebbero fatto pressioni per i soldi, che però l’ambulante non consegnò, ad eccezione di cinquanta euro. Sulla dazione di denaro, ci sono state domande delle difese. L’avvocato Enrico Aliotta, in aula, ha chiesto ulteriori particolari al testimone, nell’interesse di uno degli imputati citati da Scilio, Vincenzo Di Maggio. La bottega di frutta e verdura venne comunque aperta, anche se non erano arrivati riscontri da Di Giacomo. A quel punto, l’esercente avrebbe compreso che quella scelta non fu accolta di buon grado. “Avevo capito che Bruno Di Giacomo ce l’aveva con me e decisi di chiudere”, ha spiegato. Ci sarebbe stato anche un confronto con lo stesso Di Giacomo, che l’avrebbe pesantemente minacciato. “Mi disse che mio padre e mio fratello potevano farsi le valigie e andare via – ha spiegato – mi colpì al volto e disse che poteva finire come succedeva vent’anni fa”. Lo stesso ambulante, successivamente, subì l’incendio di un camion e qualcuno gettò benzina davanti all’ingresso della sua abitazione. “Sul camion, però, non so dire chi possa essere stato – ha continuato – poi, ho deciso di denunciare”.

In questo filone processuale, sono a giudizio Giovanni Di Giacomo, Salvatore Antonuccio, Samuele Cammalleri, Alessandro Pennata, Vincenzo Di Giacomo, Benito Peritore, Vincenzo Di Maggio, Giuseppe Truculento, Giuseppe Vella, Giuseppe Nastasi e Rocco Di Giacomo. Altri esercenti che sarebbero stati sottoposti a minacce e ritorsioni sono costituiti in giudizio, come parti civili, con l’avvocato Valentina Lo Porto, che rappresenta inoltre l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”. Il presidente dell’antiracket locale, Renzo Caponetti, accompagnò diversi esercenti a denunciare. Gli imputati sono rappresentati dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Ivan Bellanti, Giovanna Zappulla, Cristina Alfieri, Enrico Aliotta e Antonio Impellizzeri.

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