“Chi mangia assai si soffoca”, le minacce di Di Giacomo: fucilate, attività bruciate e la droga

 
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Gela. Gli stiddari avrebbero voluto riprendersi la città, puntando soprattutto sulle armi e sulla droga. La rete di presunti fiancheggiatori scoperta dai poliziotti della mobile di Caltanissetta e dai pm della Direzione distrettuale antimafia è molto più ampia. Trentacinque misure di custodia cautelare sono state eseguite nella notte di ieri, ma l’inchiesta “Stella cadente” si allarga ad un totale di cinquantacinque indagati. Erano ormai molto radicati, tanto da poter contare su covi logistici, dove piazzare le armi e la droga. Ne sono stati scoperti tre, nelle strade di Baracche, Carrubbazza ed ex Ospizio Marino. A tirare le fila dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, erano Bruno “Marlon Brando” Di Giacomo e Govanni Di Giacomo. Sarebbero stati in grado di contare su uomini fidati. C’era anche chi gli avrebbe gestito alcuni conti correnti. I soldi per l’acquisto delle partite di droga sarebbero anche passati da un conto, accesso in un’agenzia postale di Palma di Montechiaro, nell’agrigentino, e da quello che Gianluca Parisi avrebbe tenuto nell’interesse esclusivo di Giovanni Di Giacomo. Gli inquirenti hanno scoperto società, formalmente gestite da presunti prestanome, ma che di fatto erano ancora in mano ai Di Giacomo. Così, sono emerse le aziende di prodotti in plastica, che Bruno Di Giacomo avrebbe gestito in prima persona, pur se formalmente coperto da altri soggetti. Anche la Letizia Costruzioni, riconducibile ad Alessandro Pennata (a sua volta arrestato), avrebbe fatto parte del patrimonio dei Di Giacomo. Per abbattere la concorrenza, si usavano le intimidazioni. Colpi di arma da fuoco vennero esplosi contro la saracinesca della pasticceria “Etoile”, a Caposoprano, e in direzione di quella del bar “Crispi”. Chi non accettava le forniture, doveva attendersi la reazione. Fucilate, in pieno giorno, vennero esplose contro lo scooter di un esercente, nel cuore di via Generale Cascino. In quel caso, ad agire fu Giuseppe Trubia (che ammise i fatti ed è già stato condannato in via definitiva). A commissionargli l’avvertimento, secondo gli inquirenti, fu Bruno Di Giacomo. “Marlon Brando” avrebbe cercato di intimidire anche il titolare del bar “Vecchia Stazione”, che però disse no alla fornitura dei suoi prodotti. “Chi mangia assai si soffoca”, gli disse il presunto capo stiddaro, al quale non bastò neanche l’intervento di Paolo Portelli. Addirittura, ci sarebbero state imposizioni sulla fornitura di cornetti e ingredienti di pasticceria. Nel mirino finirono i titolari del bar “Milano”, che avrebbero dovuto rivendere solo i cornetti dell’attività della famiglia di Samuele Cammalleri, raggiunto da misura. Tra i tanti episodi ricostruiti, anche l’incendio del laboratorio del bar “Peccati di Gola”. Da quanto emerge nelle pagine dell’ordinanza, le fiamme vennero appiccate da Giovanni Canotto, sempre su ordine di Di Giacomo. Canotto, negli scorsi mesi, ha iniziato a collaborare con la giustizia.

Una pistola sarebbe servita pure per intimidire l’amministratore di fatto di una società, che in quella fase gestiva il locale notturno “Malibù”. I Di Giacomo, ritenuti veri proprietari, pretendevano la loro parte. “Fai la fine di quello di venti anni fa”, disse una volta Bruno Di Giacomo ad un ambulante che avrebbe dovuto cambiare zona per vendere i propri prodotti. Secondo gli investigatori, il presunto capo si sarebbe riferito ad un omicidio commesso nel passato e per il quale venne arrestato. Ma il giro degli stiddari passava dalla droga. Gli affari grossi venivano conclusi con presunti broker degli stupefacenti. Nella rete è finito il campano Ciro Di Palma, ma la droga non trascurava le piazze siciliane. Ci sarebbero stati frequenti contatti con palermitani, catanesi e ragusani. Quella che arrivava in città, veniva stoccata nei covi scoperti dai poliziotti. Un affare che sarebbe stato essenziale per la nuova stidda, sempre in cerca di fonti di approvvigionamento economico. Gli inquirenti chiamano in causa Alessandro Scilio, i Di Giacomo, i catanesi Luciano Guzzardi e Sebastiano Desi, ma anche Rosario Marchese, il professionista che avrebbe in parte finanziato l’acquisto di partite di stupefacenti.

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