Esclusivo: la video intervista di Liana Incorvaia, superstite della Concordia

 
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Gela. L’Ave Maria come suoneria del telefonino. Cambiata solo prima di salire a bordo della Concordia. Nel suo salotto un modello in scala della prima nave passeggeri “Andrea Doria”, realizzata dal padre Antonio.

L’estetista gelese, Liana Incorvaia, titolare di un centro benessere in via Meli, è tra i superstiti della crociera Costa. Anche lei, come il parrucchiere di Caltanissetta Romualdo Acquaviva, era stata selezionata nel programma televisivo “professione look maker-la sfida”.

Secondo lei mancano all’appello un uomo ed il suo bambino. Una volta raggiunta terra ferma, poco dopo la mezzanotte, dal porto di Santo Stefano ha telefonato in lacrime alla figlia. Stava cenando, quando la Concordia si è incagliata nella stessa sala dove si trovava il comandante. “C’è stato un rumore di strofinamento – spiega Incorvaia – un boato e le luci si sono spente. Solo li abbiamo capito era accaduto qualcosa di serio. Eravamo eleganti, ho avuto il coraggio di andare in cabina e cambiarmi per indossare abiti più consoni ad una situazione di emergenza.

Una voce diceva di mantenere la calma, minimizzava e parlava di problema tecnico. Abbiamo capito che si trattava di una collisione. Mio padre mi diceva che in nave in caso di boato bisogna andare nei piani più alti. Cosi ho fatto. Nessuno ha mai comunicato quello che era accaduto, lo abbiamo capito da soli.

Loro ripetevano che la situazione era sotto controllo, invitandoci anche ad andare nelle nostre cabine. Parlavano di problemi tecnici. La nave si era improvvisamente assestata, le persone escludevano la tragedia fino a quando la nave ha cominciato a girare su se stessa ed inclinarsi da un lato in un attimo. In due tratti, il primo repentino. Solo allora una voce ha detto di raggiungere le scialuppe al quarto piano ed indossare i giubbotti salvagente. Mi hanno vietato di salire su una prima scialuppa perché io ero destinato al “lato B”, ma mi trovavo nel “lato A” che continuava a sprofondare. Ho risalito i corridoi, un uomo coreano mi ha sollevata con forza e scaraventata dentro una scialuppa ferma in attesa di un comando.

Non scendeva, urlavamo e aspettavamo l’ordine. Un signore ha armato un’ascia per slegare la scialuppa imbrigliata. Eravamo in bilico legati ad una catena. Siamo dovuti tornare nella parte che sprofondava a mare, aggrappati l’uno con l’altro, formando una catena umana, sentivamo gli arredi cadere nel vuoto. Non mi sono mai sentita sicura, solo i camerieri si sono prodigati come i marinai. I camerieri hanno dato la vita, ma non erano all’altezza della situazione. Solo a bordo dell’ultima scialuppa ho capito che ero salva”.
Quei momenti rischiano di rimanere impressi nella mente dei superstiti della Concordia.

“Siamo stati sottoposti a colloqui con un psicologo – spiega Liana Incorvaia – Il medico sostiene che potremmo avere delle ripercussioni. Consigliava di proseguire con le sedute da un psicologo di fiducia e di parlare con la gente per dimenticare quegli attimi drammatici”. Se il personale di bordo è stato accusato di scarsa professionalità, a terra la situazione appare completamente diversa. Secondo il racconto dell’estetista gelese, la compagnia Costa crociere si sarebbe messa subito a disposizione dei naufraghi.

Oltre alla presenza di un medico per le prime cure e le bevande calde, hanno alloggiato un una camera di albergo prima di ricevere biglietti d’aereo e trasferimenti con mezzi gratuiti per il ritorno a casa. “Una volta toccata terra ferma – sostiene Incorvaia – siamo stati accolti da un team all’avanguardia”.


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