Decimo Capitolo – Attentato in Vaticano

 
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Un meeting bilaterale era stato organizzato  a Roma dal ministero degli affari esteri italiano, patrocinato dal sindaco Feltrinelli del comune capitolino, con l’ufficio della presidenza del primo ministro russo.

Una limousine nera giunse al Boscolo hotel Exedra.

Il portiere di colore, alto e puntuale, riconobbe l’autovettura diplomatica, e si precipitò veloce con un grande ombrello ad accogliere l’ambasciatore e i suoi ospiti, seguito dai tre facchini dell’albergo che erano addetti al trasporto dei bagagli.

La serata era leggermente fredda e al momento cadeva una pioggia sottile.

Mancavano pochi giorni all’ingresso della stagione invernale e anche quella sera piazza della Repubblica era piena delle mille luci soffuse che nascevano dai portici e dalle arcate delle finestre, illuminando i monumenti antichi e i palazzi che circondavano il semicerchio antistante il lussuoso albergo.

A Olga, diplomatica dello stato russo e addetta ai rapporti istituzionali con l’Italia, sembrò di essere in un luogo paradisiaco, nella città antichissima piena di storia e monumenti, vedendo illuminata quella piazza dalla bellezza artistica sconvolgente che le fece trattenere nel petto il respiro.

Era stata lontana da Roma poche settimane, ma la città già le mancava.

Mosca, la sua città natale, dalla quale era arrivata con un volo diretto sull’aeroporto di Fiumicino, unitamente all’ambasciatore e ad una parte del suo corpo diplomatico, era fredda, siderale.

L’Italia invece era accogliente, calda e solare.

Scese dalla lussuosa automobile e si sentì finalmente libera.

In patria, il fidanzato, un potentissimo e plurimiliardario uomo d’affari, aveva alzato il gomito, bevendo della vodka,  e l’aveva umiliata addirittura all’interno del palazzo di governo, alla presenza di numerosi testimoni; lei si era sentita prigioniera di quell’uomo viscido, violento, e poiché non ne voleva più sapere, sopportarne lo sguardo e il peso, l’aveva lasciato.

Fu felice di ritornare a Roma, la città occidentale che lei più amava e nella quale esercitava la funzione di consigliere, addetta alle relazioni della giovane nazione russa con il governo italiano.

In ambasciata c’erano stati dei lavori di restauro e lei e gli altri ospiti avevano prenotato degli appartamenti in un albergo elegante del centro cittadino della nazione ospite, nel quale poi erano stati organizzati diversi incontri bilaterali e culturali con il governo italiano, in programma quei giorni.

Era anche una delle poche volte che l’affascinante donna era sola, non accompagnata dal geloso e stantio fidanzato, co-finanziatore della campagna elettorale del premier vincente alle ultime elezioni governative russe, abituato a comportarsi da padrone.

Ora era libera di vivere la città eterna, di giorno e di notte, di conoscerne le piazze e i monumenti, visitarne i musei civici e vaticani, di frequentarne il mondo diplomatico, senza alcun limite e gelosia.

Olga aveva scoperto l’insostenibile leggerezza dell’essere  una donna libera, e sprigionare la femminilità per lei non aveva un prezzo; il carattere violento del burbero fidanzato era lo sbiadito ricordo del passato, nonostante fossero trascorsi pochi giorni dalla burrascosa, umiliante ma provvidenziale lite.

Iniziò a provare per l’ex compagno solo un sentimento d’indifferenza, che immediatamente e fortunatamente prese il posto dell’odio e del disprezzo con il quale lo aveva mandato a quel paese, minacciando di denunciarlo alle autorità nazionali se l’avesse ancora molestata; adesso lei desiderava solo di essere se stessa, dimenticare l’increscioso accaduto e cancellare quei ricordi.

In quindici minuti, dopo che l’affascinante donna di solo ventisette anni e gli altri membri politici del corpo diplomatico si condussero nei piani alti del lussuoso albergo, si sentì scorrere dell’acqua, al numero centouno della suite imperiale, ove lei si era sistemata.

La ragazza decise di farsi un bagno e gioì a sentirsi accarezzata dall’acqua tiepida, sprizzando gioia da ogni poro della sua candida pelle, bianca come la neve e fresca come una rosa, a vivere quegli attimi piacevoli nella vasca dorata, decidendo di uscirne dopo il rilassante bagno con i sali dalle afrodisiache essenze di fiori.

Si asciugò, indossando l’accappatoio, e perlustrò con i capelli ancora bagnati l’immensa suite nella quale si era accomodata, grande quanto un appartamento, il cui salotto si affacciava alla finestra che dava direttamente su piazza della Repubblica.

Anche la stanza da bagno era antichissima e di fine porcellana bianca, decorata con le piastrelle e le greche in oro zecchino; il soggiorno, poi, dal design neoclassico, aveva un avveniristico tv satellitare ai cristalli liquidi, infine nella camera da letto, finemente arredata, c’erano due grandi letti da una piazza e mezzo che non riuscivano a riempire la stanza.

Le pareti della suite erano arredate di fine damascato, rosso tenue, lo stesso colore delle rose rosse a gambo lungo contenute in due vasi, uno a lato della camera da letto, l’altro sul tavolo centrale del salotto, dono della direttrice dell’albergo alle clienti più esclusive e importanti; le tende, di un giallo paglierino, richiamavano gli intarsi dei mobili antichi e le decorazioni delle stanze e dei tetti.

Olga si sentì felice in quella suite, dal numero per lei fortunato, i cui colori erano le espressioni della sua anima, rosso di passione e giallo tenue, solare, vivo.

Ritornata nella camera da bagno, si asciugò i suoi lunghi, nerissimi capelli, leggermente stirati, e lasciò cadere dietro di se l’umido accappatoio, indossandone un altro.

Si guardò allo specchio e iniziò a considerare l’ipotesi di non sentirsi sola: concluse che era l’ora di conoscere nuovi amici e vivere le emozioni.

Colta da un’improvvisa, irrefrenabile voglia di andare in giro per la città, si ricordò di avere nella sua inseparabile borsetta, poggiata su uno dei due letti della grande camera, il biglietto da visita che due mesi prima, con il sorriso e lo sguardo intrigante, le aveva donato un misterioso, giovane avvocato italiano in un party a Palazzo Grazioli, tenutosi in onore della moglie del premier della nazione ospite.

Lesse il numero e pensò di chiamarlo con il suo telefono mobile.

Ma cosa avrebbe detto al giovane italiano?

Di essere stato invadente e gentile?

Di averle detto, allora, di telefonargli se avesse avuto bisogno di un avvocato?

Lei però non aveva bisogno di nessun professionista, e tanto più di un legale.

Dirò di essere in città, che mi piace vivere Roma by night!

Pigiò il numero, 39250650, e squillò il telefonino.

“Hi, mister Berti, sono Olga Romanova; si ricorda del nostro piacevole incontro al party?

Mi ha lasciato il suo biglietto da visita e il numero privato del telefonino.

Bene, eccomi qua!”

Fabrizio Berti era a casa, nel suo attico, e saltò di gioia ad ascoltare quella voce e il nome della donna che mai aveva dimenticato.

Si ricordò della piacevole bugia riferita in automobile due mesi prima a Lorella, quando al ritorno dal party di palazzo Grazioli, le disse di avere conosciuto un’affascinante diplomatica moscovita, ma che non ne ricordava il nome.

Invece, da allora quel nome gli era navigato sempre nei pensieri. 

Per Dio!

Si ricordò anche della sua straordinaria bellezza e classe.

Ora era sicuro che le bugie dette fossero state due, poiché la donna straniera era più alta e più bella dell’ex compagna.

Gli era apparsa anche affascinante e misteriosa, intrigante e più semplice.

Frenetico e piacevolmente colto di sorpresa, lasciò i fornelli di casa, nei quali si stava preparando la cena, cucinando un piatto unico, un risotto allo zafferano con i funghi; spense immediatamente la fiamma del cucinino e si sedette in soggiorno con le gambe incrociate sul divano, comodo, continuando a conversare al telefono con la ragazza, rispondendo di gradire immensamente il contatto: la invitò a darsi del tu, senza il “mister”  e la “lady”.

Era felice che una donna così giovane e bella lo chiamasse al telefono.

Le rispose ancora che non lo disturbava assolutamente, anzi lui era solo e, perché no, andare in giro Roma by night, gli andava ed era il suo forte.

“Io amo questa città e mi sento un suo figlio adottivo”, disse l’interlocutore.

“Ti porterò in ogni piazza e museo, nelle sue cento chiese e stradine; scenderemo nelle catacombe e insieme visiteremo gli inferi, poi ti porterò sul cupolone di San Pietro e lì toccheremo il cielo con un dito”, disse Fabrizio con la voce entusiasta, sonante e sorridente.

“Stasera, tuttavia, accontentiamoci di visitare Piazza Giordano Bruno, dove faremo una piacevole passeggiata; poi andremo al Pantheon, a bere un’ottima birra in uno dei suoi esclusivi pub”.

“D’accordo”, rispose ridendo l’affascinante straniera, trovando il giovane italiano pieno d’iniziative e un po’ pazzerello.

“Conosci Piazza della Repubblica? Sono al Boscolo hotel Exedra; alle ventidue e trenta ti aspetto nella hall”.

Alle ventidue e venti sarò in reception, ad aspettarti”, le rispose, galvanizzato dal provvidenziale e dall’inaspettato invito della donna che gli aveva chiesto di fare un giro by night per la città.

Olga si sentì pienamente a proprio agio a parlare al telefono con Fabrizio, come se lo conoscesse da molto tempo.

Passò mezz’ora e il giovane alle ventidue e sedici fu in piazza della Repubblica, alle ventidue e diciotto entrò di passo dentro l’elegante hotel, ad aspettare l’affascinante diplomatica nella hall, e alle ventidue e trenta vide la ragazza andargli incontro, puntuale come un orologio svizzero, con i capelli lunghi sciolti sulle spalle e due occhi blu che racchiudevano il colore azzurro di tutti gli oceani, dominando l’ampia sala d’ingresso dell’esclusivo albergo romano.

Lei era elegante e bella, vestita di jeans decorati con perline di swarovski, e indossava una giacca aperta di pelle nera, accarezzata dalla pelliccia di visone argentato sul collo che le scendeva delicatamente sulle spalle, lasciandole vedere la bianchissima camicetta di seta e il decolté dal quale mostrava una sottile catena d’oro, intarsiata con una croce ortodossa.

Fabrizio, istintivamente divise lo spazio che li separava, andando a baciarla sulle guance e, come ci si aspetta da un gentiluomo italiano, lui le prese la mano e la mise sotto il suo braccio sinistro, accompagnandola fuori l’albergo. 

Era una serata deliziosa e la battente, fine pioggia, per incanto,   cessò.

Il giovane accompagnò la ragazza vicino alla sua veloce autovettura, le aprì la portiera anteriore del passeggero, di corsa si portò sul lato del conducente, e salì mettendo in moto,  indirizzandosi verso il centro storico della città e il suo Lungotevere, iniziando infine un’amabile conversazione, riprendendo il dialogo interrotto appena due mesi prima.

“Sono molto contento di rivederti”, ribadì il giovane legale all’affascinante e nuova amica, che non le era più estranea e al momento, dal finestrino della berlina, entusiasta guardava scorrere gli edifici antichi della città.

Chiacchierarono a lungo per decine di intensi, piacevoli minuti, mentre l’autovettura raggiunse il Lungotevere, in direzione di Città del Vaticano, per accodarsi a una fila interminabile di automobili.

Ma al conducente, diretto verso Piazza Giordano Bruno, l’ingorgo non interessava, guidando istintivamente, sereno, intento a dialogare: gli sembrò un sogno essere con la donna più affascinante e bella del mondo.

Per lo meno, per lui lo era.

I suoi occhi erano di un blu intenso, cristallino, e le sue labbra rosse, calde e sensuali.

“Accidenti,  è proprio difficile guidare, guardare la strada e non tamponare l’autovettura che mi precede.

Per Dio, lo sguardo innocente e romantico di questa  ragazza mi ha letteralmente stregato”, pensò.

La donna invece pensava che Fabrizio fosse buffo e simpatico, ma stargli vicino era piacevole: il suo sguardo ed il sorriso le ispiravano la fiducia e tanta tenerezza.

Le avevano detto che gli italiani erano degli imperdonabili, goliardici don Giovanni, ma l’avvocato Berti era veramente fanny, il primo uomo italiano con il quale usciva liberamente la sera e si divertiva a girare by night la città antica.

Lui, però, si sentì anche fortunato per il dono improvviso che quella s’era gli era caduto dal cielo!

Raggiunsero la piazza nella quale si era diretti, parcheggiando l’autovettura in un vicolo e continuarono a dialogare a piedi.

Camminarono a lungo, sorridenti, senza che lei giudicasse invadente il giovane che, conversando nelle stradine che conducevano alla piazza,  le teneva stretta la mano, sotto il braccio, come se avesse paura di perderla o per dimostrarle di essere un vero gentiluomo.

Parlarono anche della loro vita, del lavoro, dei problemi di ogni giorno.

La ragazza raccontò che usciva da un’esperienza di convivenza terribile, con un uomo cinico e avido, e che non aveva intenzione di iniziare una relazione d’amore con un altro uomo.

Voleva solo vivere i suoi anni, godersi la vita, conoscere il mondo, gustare ogni piccola cosa che le potesse interessare.

Lui convenne, ma sorridendo, la invitò a essere fiduciosa in se stessa; le disse “carpe diem”, poi di essere stata fortunata poiché  aveva trovato un nuovo, vero amico, e che i sogni sono la cosa più bella del mondo.

Aggiunse che da quella sera i suoi sogni erano reali.

Mentre passeggiavano e conversavano amabilmente tra i pub e i ristoranti di piazza Giordano Bruno  sotto un cielo nuvoloso, iniziò a piovere a dirotto.

Fabrizio lasciò cadere il suo braccio sinistro per prenderle la mano destra, correndo insieme alla donna, veloci verso l’autovettura teutonica, riparandosi dall’acquazzone improvviso.

Salirono in macchina e risero tantissimo; lui lamentandosi e dicendo “porca miseria, la pioggia non ci voleva”, lei replicando il nome del nuovo amico “Fabrizio, Fabrizio”, come se volesse redarguirlo a non lamentarsi della pioggia e della corsa improvvisa che le fece battere forte il cuore, e nonostante conoscesse bene la lingua italiana, continuò a pronunciare solo quel nome, dicendo sempre “Fabrizio, Fabrizio”, chiamandolo con la voce più lenta, dolce, sensuale.

Lui smise di ridere e la guardò fisso negli occhi, vedendole sprigionare una sensualità intrigante, ammaliante, che lo ammutolì, rendendolo serio, assorto in un solo pensiero al quale non volle pensare due volte.

Sbuffò, guardandola negli occhi.

Continuò a sbuffare, con un respiro irregolare, con un battito cardiaco più veloce ed una voce che tardava ad uscirgli dalle labbra.

Il giovane si avvicinò, continuando a guardarla  negli occhi, sino a sfiorarle la bocca, sentendole il respiro.

Olga, invece, si avvicinò indifesa, sussurrando un’ultima volta “Fabrizio”.

L’uomo, colto da un forte, irresistibile desiderio di baciarla, l’attirò a sé, guardandola negli occhi, invitandola poi a distendersi di spalla sul suo petto, abbracciandola con il braccio sinistro e facendole scorrere sulle labbra l’indice destro della sua mano, con i gesti carichi di sensualità.

“Non so cosa mi stia succedendo”, le disse con la voce ritornata calma e serena, senza toglierle lo sguardo profondo negli occhi.

“Mi sento così vicino a te, come se tu mi appartenessi da sempre”, le dichiarò.

“Io lo so dal primo momento che ti ho visto”, gli confessò l’affascinante moscovita.

“Desidero rubarti ciò che di meglio ti appartiene, la tua freschezza e la gioia di vivere”, continuò a dire la ragazza, in un perfetto italiano da lasciarlo di stucco.

“E non ho  paura.

Tu sei diverso dagli altri uomini”, gli disse pensando a quello che aveva dovuto subire a Mosca, oramai definitivamente lontana.

“Sei tenero, dolce, intelligente e pieno d’iniziative.

Sei il mio fanny”, continuò a dirgli decisa.

“Adesso capisco perché è venuta giù una pioggia dirotta”, lui replicò.

“Per farci dimenticare il passato”, aggiunse sgomento, pensando a Lorella, però non pronunciando il suo nome.

“Per vivere il futuro”, confermò lei solidale.

“Non c’è futuro senza amore”, asserì deciso l’uomo, dimenticando il passato e stringendola, avvicinando il suo viso a quello della donna, fino a sentirne il calore della pelle.

Lentamente la baciò.

E continuò a baciarla, con uno, due, dieci baci, saziandola con la bocca nella sua bocca.

Con naturalezza anche le sue labbra si aprirono e gli diede la lingua nella bocca, intensamente, dolcemente, confondendosi e aggrovigliandosi le due lingue e le braccia nel vortice della passione, da lasciarli piacevolmente con gli occhi lucidi, stravolti, inappagati.

Sull’autovettura i due giovani trascorsero ancora lunghi,  interminabili minuti.

Fabrizio osservò che non era più il caso di andare al Pantheon.

“No, non è il caso”, rispose la ragazza, con lo sguardo complice e sorridente.

“Accompagnami in hotel”, gli ordinò con il tono forte.

Acceso il motore dell’autovettura, il conducente si diresse sicuro verso il Lungotevere,  percorrendo il muro del Torto,  verso la  stazione Termini, prendendo con la sua mano destra la mano sinistra dell’amica, lasciandola solo per manovrare sul cambio di  marcia o per attirarla completamente a sé, facendola appoggiare sulla spalla, continuando a percepire il calore della sua pelle e a sentirsi accarezzato dai lunghi capelli della donna, mentre guidando, vide ridursi la strada.

Sapeva che, giunti a destinazione, lei non lo avrebbe lasciato.

Non poteva lasciarlo solo; gli sembrò impossibile che il sentimento che lui aveva provato in quegli attimi fuggenti fosse solo un’emozione, e se fosse stato qualcosa di più, di certo era condiviso anche dalla giovane, incantevole straniera. 

Parcheggiò l’autovettura avanti l’ingresso dell’edificio antistante la piazza e in silenzio la fissò negli occhi, aspettando che gli dicesse di non andarsene.

Lei osservò che non le era andato di bere la birra della quale si era parlato in macchina, progettando di raggiungere uno dei pub vicino al Pantheon; però, accidenti, voleva un drink dolce ma alcolico, desiderava bagnare le sue labbra di champagne e sentirne la dolcezza.

Invitò Fabrizio a salire in camera per consumare un bicchiere di champagne.

Il giovane gridando un “hurrà”, che fece ridere forte Olga, sgommò con la sua guizzante autovettura, manovrando a lato dell’hotel, portandosi nel garage, parcheggiando con poche  repentine manovre l’automobile nel sotterraneo dell’albergo.

I due giovani, sorridenti, salirono mano nella mano nella suite, al primo piano del grand hotel, percorrendo in silenzio il corridoio e indirizzandosi subito verso la suite, chiedendosi se c’era una ragione perché fosse caduto quell’improvviso acquazzone foriero di freschezza non solo sulla piazza Giordano Bruno, ma anche nei loro cuori.

Solo che quella freschezza, per l’antico sortilegio di un dio romano o di un bizzarro cupido, donava il calore.

Entrambi, appena entrarono nella camera numero centouno, decisero di spegnere quella voglia con una coppa di champagne francese.

Olga Romanova si avvicinò al tavolo noce massello del salotto dell’ampia suite, e vicino al mazzo di rose rosse estrasse dal carrello la bottiglia di Champagne Pommery, offrendola al giovane amico che con mani studiate l’aprì, versandole da bere e offrendosi una coppa anche per lui.

Fuori la stanza  il furore della pioggia imperversava, i tuoni ruppero il silenzio dei loro sguardi e i lampi illuminarono a intermittenza le finestre e il salone.

Lei prese il bicchiere che le era stato offerto e bevve lo champagne, sorseggiandolo lentamente, sentendo il frizzante fruscio delle bollicine, avvicinando poi la sua coppa alle labbra di Fabrizio, invitandolo a bere da quella che lei teneva nella mano.

La stessa cosa fece Fabrizio: riempì all’orlo il suo calice e lo portò sulle labbra della donna, che continuò a sorseggiare, inebriandosi di champagne fino a quando vide la stanza muoversi, prima piano, dopo velocemente.

Subito, la bottiglia fu quasi vuota.

Poi, Olga posò delicatamente il calice sul tavolo del salotto, e iniziò a parlare delle sue esperienze personali e dei suoi più intimi desideri.

S’era lasciata dietro le spalle la Russia ed un pessimo compagno dal carattere cinico e violento, senza cuore.

Ora si trovava sola e indifesa, con un nuovo amico, mesi prima incontrato per pochi minuti in un party e dopo, solo quella sera.

“E’ come se io ti conoscessi da sempre”, gli sussurrò nell’orecchio, avvicinandosi sorridente al giovane, abbracciandolo, stringendogli i fianchi mentre la luce di un fulmine illuminò la penombra del salone, e fuori il cielo tuonava con  boati assordanti, per i quali lei disse di avere un po’ di paura.

Al giovane siciliano non fu possibile resisterle e starle vicino senza baciarla.

La baciò di nuovo, portando le labbra cariche di desiderio sulle sue labbra, la lingua nella lingua della ragazza, nel vortice di baci dove la bocca dell’uomo ritornava prepotentemente sulle labbra di lei, e la bocca della donna su quella dell’uomo dal giovanile e intrigante aspetto.

Rimasero in piedi, in silenzio, abbracciati, a baciarsi, fin quando lui le sfilò deciso dalle spalle la nera e lucida giacca in pelle, lasciandola cadere sul tappeto persiano del pavimento, sbottonandole la bianca camicia di seta che immediatamente raggiunse il tappeto senza che lei sapesse resistere alle avances e, prima che lei obiettasse qualcosa, le tolse anche il reggiseno, commentando con la voce soffusa ed eccitata la visione dei sinuosi seni la cui abbondanza sarebbe stata contenuta solo dalla coppa di champagne dalla quale avevano bevuto. 

Fabrizio rimase estasiato dalla bellezza sconvolgente del corpo della dolce diplomatica russa, e la invitò a seguirlo in camera, distendendola su uno dei due letti, continuando a baciarla in bocca, fino a che con le labbra scese lentamente fino ai seni, senza mai saziarsi.

Lei non riuscì, né volle opporre alcuna resistenza; e mentre egli era poggiato sul suo petto, lei gli accarezzava i capelli, baciandolo appassionatamente, ora sull’orecchio sinistro, ora su quello destro.

D’un tratto, lui portò i suoi baci sotto l’ombelico, e tirò giù la lampo del jeans della ragazza, abbassandole con entrambe le mani avide di peccato il pantalone alla moda e a vita bassa, facendole sparire anche la lingerie, lanciata dall’uomo fuori dal letto.

Sdraiata, vestita solo della sua morbida, profumata e rosea pelle, la donna ebbe un sussulto, e con le sue mani spogliò nudo anche il suo Fabrizio, cominciando entrambi ad accarezzarsi fino a quando lei, di colpo si portò sull’uomo disteso, baciandolo nel petto con abili e astuti giochi di lingua, donandogli il piacere, privandolo di ogni richiesta e difesa.

Fabrizio si riprese, e si portò prima a fianco della donna, dopo sopra, stendendosi sul suo corpo caldo e in fiamme.

Nell’alcova, i due giovani si abbandonarono al fiume delle emozioni, come se fossero amanti da una vita e ognuno conoscesse i segreti e le zone più eccitanti e intime del partner.

Il tempo si fermò e i loro movimenti divennero silenziosi, lenti

All’improvviso, l’apice del piacere fu così intenso che i corpi dell’uomo e della donna si unirono forti l’uno all’altro, con un fremito, prima in movimenti brevi e violenti, con la ragazza con le spalle distese, avvinghiata forte con le sue gambe sui fianchi e sul bacino di Fabrizio, dopo immobili, con il giovane disteso sul corpo di Olga, infine al suo fianco, oramai entrambi sfiniti, pieni di sudore, senza più il minimo respiro e con i cuori che battevano forti.

Rimasero sul letto, in silenzio, chiedendosi senza alcuna resistenza che cosa avessero fatto e come fosse successo.

Ognuno dei due aveva desiderato conoscere un nuovo amico, trascorrere la sera lungo le strade di Roma antica e vivere la città eterna, sentirsi indipendenti e liberi dai vincoli del passato, invece si trovavano nudi, distesi nel loro tiaso d’amore  e soddisfatti, a chiedersi sgomenti come fosse stato possibile fare subito  del sesso e raggiungere l’estasi insieme al partner conosciuto solo per pochi minuti un giorno lontano, e quella notte in compagnia da poco più di cinque ore.

Erano quasi le quattro del mattino, ma i giovani amanti non riuscirono a dormire.

L’incontro era stato estremamente coinvolgente e sensuale da lasciarli sconvolti.

Ora, nella penombra della notte, come se comunicassero anche nei pensieri, Fabrizio e Olga Romanova si preoccuparono ad addormentarsi nonostante fossero entrambi sfiniti, paurosi di svegliarsi e vedere svanito il sogno proibito.

Fabrizio tirò il lenzuolo verso i loro corpi e abbracciò a sé la ragazza, come se  fosse la sua donna da sempre, poggiandole il capo sul viso.

Lei si aggiustò, stringendolo più forte e portando la sua guancia sulla spalla dell’uomo.

“Ho bisogno di sentirmi amata e protetta, ma non mi capisco.

E’ la prima volta che incontro un uomo e gli faccio all’amore”, aggiunse guardandolo nudo fino al petto.

Non aveva finito di pronunciare quella intima confessione che, con lo scatto repentino, riprendendosi dall’atteggiamento sensuale e ridendo, lei si portò nell’anticamera, tornando sul letto con la bottiglia di champagne, invitando il giovane a sorseggiarne un altro bicchiere, fino a svuotarla.

Sempre distesa nuda al suo fianco e poggiata sul gomito, gli iniziò a parlare in italiano, inserendo nel dialogo delle parole russe, sorridendogli con i  suoi due occhi blu che lo fecero sentire su un veliero alla mercè di un impetuoso vento.

Lei era una donna dalla bellezza straordinaria, fatale, che gli tolse il respiro e gli rubava l’anima.

Il suo corpo caldo e sensuale, la pelle bianca e vellutata, lo sguardo intenso e profondo, crearono nel giovane un sentimento mai provato in quelle forti intensità.

E la conosceva appena.

“Dio mio, mi sono cacciato in una relazione intrigante, ma pericolosa.

E se lei dovesse uscire dalla mia vita, ripetermi domani che desidera essere una donna libera e indipendente, che quella sera le era andato di fare solo del sesso, ammonendomi di non scambiarlo con l’amore?”, pensò tra sé e sé.

Olga invece cercava la dolce dipendenza, e vide in Fabrizio la personificazione dell’immaginario amante, dolce e intrigante, caldo ed esperto, intelligente e imprevedibile.

In fondo, pensava, leggendo il pensiero dell’uomo che non aveva più per lei alcun mistero, sul perché si erano compenetrati dentro e sulla sua voglia di indipendenza professionale, sociale ed economica che oramai non le apparivano più antitetici alla dolce dipendenza provata in quelle piacevoli ore.  

Anzi, i due desideri dell’essere erano speculari, e facce della stessa medaglia.

Soddisfatta, gli lanciò uno sguardo e ridendo tornò a rivolgergli la parola, come se la marea dell’oceano fosse ritornata sulla battigia di un’isola.

“Io non ho mai mentito a un uomo.

Tanto meno voglio mentire a te, Fabrizio.

Da due mesi desideravo incontrarti.

Ti ho conosciuto che mi sei piombato addosso come il vento, forte e impetuoso, portandomi il sorriso.

E come il vento, quella sera al party, sei fuggito via, rincorrendo il vostro primo ministro. 

Mi sorprese la tua semplicità, mischiata ad un’invadenza sfacciata.

Avevi appena conquistato la mia attenzione, chiedendomi perché mi guardassi in quel modo, penetrandomi negli occhi, che subito sei fuggito, veloce così come ti eri presentato.

Rimasi arrabbiata con te e non lo hai notato.

Eri già andato via e io ti ho anche odiato.

Invece, giorni dopo, ripensando al nostro dialogo e al tuo modo gentile di rappresentarmi i fatti dei quali mi parlavi, ho capito che ti avrei rivisto, che il biglietto da visita non mi era stato lasciato per caso”.

Di nuovo, intanto, mentre lei parlava, si accorse che Fabrizio era un birichino, mostrando apparentemente poco interesse alle sue confessioni, continuando a guardarla con l’attenzione avida, e volle redarguirlo chiamandolo fanny.

A fronte della conversazione seria della compagna, lui invece di ascoltarla, le sussurrò parole dolci, dicendole con la voce sensuale che era ancora pieno di desiderio e voleva fare nuovamente l’amore.

Lei non seppe resistere alle intriganti avances  e alle mani morbide e decise del suo fanny, che la raggiunsero ancora nelle parti più intime del corpo e la eccitarono fino al punto di farla impazzire di piacere.

“Promettimi però che dopo sarai buono”.

“Starò buono, te lo prometto”, le rispose, penetrandola dolcemente, intensamente e senza farle male.

Lei cadde nel piacere più profondo e non seppe resistergli.

“Ti amo, tesoro mio,” le ripetette  Fabrizio con i gemiti sempre più forti e sensuali, mentre le entrò dentro, consumando la sua virilità e le ultime energie. 

Lei non capì se la stanza le girasse attorno perché aveva bevuto lo champagne, oppure perché il giovane era riuscito a donarle l’estasi: era certa però che non si trattasse di sesso ma di vero, unico e autentico amore.

La donna ebbe subito una risposta nelle parole dolci e sensuali che l’uomo le pronunciò, al culmine del piacere, sussurrandogli  forte “sì, anch’io ti amo” mentre  le venne nuovamente dentro.

Lei si sentì ancora soddisfatta.

Ascoltando quella frase, il cuore le rinacque, i sensi la inebriarono e il sorriso non l’abbandonò.

Il piacere che aveva provato era stato così intenso che, nonostante le palpebre si fecero più pesanti e cercassero di togliere la fioca luce della stanza ai suoi occhi blu, lei non volle prendere il sonno. 

Provò infine la sensazione di navigare sospesa nell’aria e di girare sul letto, riuscendo infine a chiudere gli occhi, ad addormentarsi abbracciata al suo uomo italiano, che le sembrò essere l’ancora di salvezza da quel vortice di emozioni che le spezzò il fiato.

“Ti amo, mio dolcissimo fanny”, disse  ancora un’ultima volta con la voce sensuale, vera, sempre più fioca e sottile.

Poi, lei iniziò a dormire, mentre Fabrizio continuando a tenerla abbracciata, la guardò con soddisfazione, con l’orgoglio di un impertinente maschio, per essere riuscito a conquistare la donna più bella del mondo.

Era oramai mattino.

Anche al giovane amante, finalmente stanco e appagato, gli calò il sonno, addormentandosi soddisfatto, inebriato dalle piacevoli, inebrianti sensazioni che non lo abbandonarono, che gli fecero sognare di aver  trovato misteriosamente l’amore,  e toccato per caso il settimo cielo.

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