Detenuto per la strage di Vittoria e poi assolto, respinta la richiesta di riparazione

 
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Gela. Una strage voluta dagli allora vertici di cosa nostra gelese e che costò la vita a cinque persone, tutte trucidate all’interno di una stazione di servizio a Vittoria. Era il 2 gennaio di diciannove anni fa e dopo le condanne imposte ai gelesi, compresi i killer entrati in azione, la vicenda è ritornata davanti ai giudici. La Corte di Cassazione, però, ha respinto la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dal vittoriese Giovanni Avvento. Il cinquantasettenne venne arrestato per la cosiddetta strage di San Basalio, ma la stessa Cassazione e poi i giudici della Corte d’assise d’appello di Catania rividero la sua posizione, con un verdetto d’assoluzione. Avvento, come dichiarato successivamente dai collaboratori di giustizia, non partecipò all’agguato, ordinato per colpire Angelo Mirabella, uno dei vertici del gruppo stiddaro a Vittoria. Gli Emmanuello avevano deciso di eliminarlo. Insieme a lui, però, caddero altre quattro persone, compresi semplici avventori del bar della stazione di servizio. Sono state pubblicate le motivazioni che hanno indotto i giudici romani a respingere la richiesta di riparazione portata avanti dal legale di Avvento.

Il cinquantasettenne rimase detenuto per sei anni, proprio in relazione al procedimento scaturito dai fatti del bar Esso. Ottenuta l’assoluzione ha chiesto un risarcimento. Sia i giudici della Corte d’appello di Catania sia quelli di Cassazione, però, hanno respinto l’istanza. Avvento, stando ai magistrati romani, ha ottenuto l’assoluzione per i fatti del gennaio di diciannove anni fa ma avrebbe comunque gravitato negli ambienti della criminalità organizzata. “La Corte territoriale ha puntualmente individuato in cosa sia consistita la colpa grave del ricorrente, evidenziando che l’Avvento – scrivono i giudici nelle motivazioni successive all’udienza dello scorso maggio – secondo le plurime ed univoche risultanze probatorie, che non trovano smentita nella sentenza assolutoria, era strettamente legato al contesto associativo nell’ambito del quale è maturato il proposito omicida. In definitiva, è stato correttamente reputato gravemente imprudente il comportamento del ricorrente che ha mostrato di condividere lo spirito dell’associazione, mantenendo rapporti intensamente stretti con i principali accoliti i quali, peraltro, gli riconoscevano un ruolo di significativo rilievo. Inoltre l’Avvento ha omesso di dimostrare ragioni plausibili di discolpa”. Un quadro che ha spinto la Cassazione a rigettare il ricorso del vittoriese, confermando quanto già stabilito dai giudici della Corte d’appello di Catania.

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