Dieci anni di pizzo sui rifiuti, la Cassazione conferma tutte le condanne

 
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Gela. Il ricorso è inammissibile. La corte di Cassazione non è neanche entrata nel merito del processo e così da ieri sera le condanne relative all’indagine Munda mundis sul racket delle estorsioni diventano definitive.

La Suprema corte non ha ritenuto ammissibili le motivazioni addotte dal pool di difensori, che avevano fatto notare una diversità di motivazioni tra la sentenza del tribunale di Gela con quella della Corte d’Appello. I dieci imputati sono stati condannati complessivamente a 134 anni di carcere. Mentre però secondo il collegio penale del tribunale si poteva configurare anche una connivenza tra gli imprenditori e gli imputati, per la Corte d’appello di Caltanissetta, allora presieduta dal giudice Michele Perriera, l’ipotizzabile collusione vittime-estorsori era ininfluente ai fini della responsabilità dei dieci taglieggiatori.

La difesa ha provato a inserire in Cassazione le dichiarazioni di Francesco Vella, che nel 2011 avrebbe partecipato ad un summit in cui erano presenti alcune delle parti offese. Diventano dunque definitive le condanne a 134 anni per i 10 imputati dei due clan che, dal 1996 al 2006, avevano chiesto il pizzo all’associazione temporanea di imprese che gestiva il servizio di smaltimento dei rifiuti in città. La sentenza d’appello aveva solo parzialmente riformato quella di primo Grado, con uno sconto complessivo di 18 anni di carcere. Gli imputati dovranno risarcire i danni alle parti civili, vale a dire gli otto imprenditori di Confindustria, il Comune di Gela, l’associazione antiracket Gaetano Giordano e la Fai, che fecero scattare l’inchiesta, ribellandosi al pizzo imposto da Stidda e Cosa Nostra. I 10 imputati (Enrico Maganuco, Carmelo Fiorisi, Francesco Morteo, Gaetano Azzolina, Domenico Vullo e quelli che poi sono divenuti collaboratori di giustizia, Massimo Carmelo Billizzi, Paolo Portelli, Gianluca Gammino, Marcello Orazio Sultano e Rosario Trubia) furono arrestati nel 2007 dalla Mobile di Caltanissetta e dagli agenti del commissariato. Fu accertato che gli imprenditori erano costretti a pagare 18 mila euro al mese per mettersi in regola. Dieci pentiti hanno detto nel corso del lunghissimo processo di primo grado che in realtà esisteva un accordo tra imprenditori e imputati, per truccare le gare, farle vincere alle imprese colluse e poi procedere alla ripartizione dei guadagni.

Rimane un mistero che fine abbia fatto l’indagine successiva, visto che il tribunale trasmise alla procura di Gela e quella di Caltanissetta gli atti relativi a tre degli otto imprenditori vittime nel processo, ovvero Rocco Greco, Gaetano Greco e Luca Callea, ed ancora l’ex sindaco Franco Gallo, Giuseppe ed Emanuele Sciascia, l’imprenditore ennese Silvio Praino, Giovanni Gentile, Pietro La Cognata, Armando Giuseppe D’Arma, Marcello Orazio Sultano e Vincenzo Minardi. La loro posizione, alla luce di quanto emerso nel corso del dibattimento, doveva essere valutata attentamente per verificare se esistevano i presupposti per l’incriminazione. Non se ne è saputo più nulla.

Nel dettaglio Carmelo Fiorisi è stato condannato a 30 anni di carcere, 30 anni a Enrico Maganuco, 21 a Francesco Morteo, 16 anni a Massimo Carmelo Billizzi, 14 anni e 4 mesi Paolo Portelli, 11 anni, 8 mesi Gianluca Gammino, 14 anni, 4 mesi Domenico Vullo, 5 anni Gaetano Azzolina; 4 anni e 2 mesi Rosario Trubia, e 4 anni e 2 mesi Marcello Sultano.

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