Diplomi facili in città, “bastava pagare per superare l’esame”: chieste sei condanne

 
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Gela. “Quei diplomi venivano acquistati dagli studenti. Bastava solo pagare la retta richiesta dai responsabili degli istituti paritari”. “Bastava pagare”. Il pubblico ministero Lara Seccacini, così, ha chiesto la condanna per sei imputati, tutti al centro dell’indagine “Atena” messa a segno dai finanzieri nell’ottobre di sette anni fa. Quattro anni di reclusione sono stati chiesti per Emanuele Cassarino e Ernesto Calogero, tre anni e quattro mesi per Giovanni Rapidà, tre anni e tre mesi per Giuseppe Malfitano, tre anni per Patrizia Calvo e due anni e tre mesi nel caso di Luigi Rizzari. Prescritte, invece, le accuse mosse a Libero Lise. In base alle accuse mosse dai magistrati della procura, sarebbero loro le menti del sistema che ruotava intorno a istituti paritari come il “Michelangelo” di Gela e il “Majorana” di Licata. Da quanto emerso durante la requisitoria del pm, sarebbe bastato pagare per ottenere il diploma. “Addirittura alla figlia dell’allora provveditore agli studi – ha spiegato il magistrato – venne garantito il diploma pur in mancanza di una residenza effettiva in città. Le venne assegnato un indirizzo fittizio che, però, corrispondeva a quello di una rosticceria”. Il pm ha messo in luce come sia giunta la prescrizione per le accuse legate ai reati associativi. Rimangono in piedi, però, quelle scaturite dalla presunta attività, capillare, di falsificazione dei registri e delle carriere degli studenti. “E’ emerso un unico caso di studente bocciato all’esame finale – ha spiegato il pubblico ministero Seccacini – non a caso, chiese spiegazioni rispetto a quanto accaduto e gli venne comunicato che l’esito scaturiva dal mancato pagamento della retta”. Per i magistrati della procura, gli stessi imputati sarebbero riusciti ad accumulare beni e proprietà del tutto non conformi ai redditi dichiarati. “Le rette degli studenti venivano pagate con assegni – ha detto ancora il magistrato – trasferiti sui conti personali degli imputati”. La procura, davanti al collegio presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Tiziana Landoni e Ersilia Guzzetta, ha chiesto la confisca dei beni sequestrati dai militari della guardia di finanza. Adesso, spetterà ai legali degli imputati esporre le rispettive conclusioni. Intanto, il legale di fiducia della docente Patrizia Calvo ha ribadito l’estraneità ai fatti della sua assistita. “Venne scelta per far parte della commissione di esami – ha detto – solo per sostituire una collega. In realtà, non ha mai lavorato per conto degli istituti al centro dell’intera vicenda”. Gli altri difensori, compresi gli avvocati Antonio Gagliano, Giuseppe Nicosia e Angelo Armenio, concluderanno alle prossime udienze già fissate per febbraio. 

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