“Donne d’onore”, in appello confermate condanne per i Liardo: pene non sono state aggravate

 
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Gela. Non è arrivato un aggravamento delle pene, come invece richiesto dalla procura generale. I giudici della Corte d’appello di Caltanissetta hanno confermato le decisioni di primo grado per gli imputati coinvolti nell’inchiesta “Donne d’onore”. L’intera attività degli inquirenti si concentrò intorno ai rapporti di Nicola Liardo, ritenuto figura di spicco all’interno di Cosa nostra locale, con i familiari. Proprio attraverso la famiglia, secondo le accuse, Liardo sarebbe stato in grado, seppur detenuto, di imporre estorsioni e gestire un traffico di droga. La pronuncia dei giudici di appello invece ribadisce quanto deciso dal collegio penale del tribunale di Gela. Sei anni e nove mesi di reclusione per Nicola Liardo. Sei anni e sei mesi per il figlio Giuseppe Liardo, sul quale pendevano diversi capi di accusa. Gli erano già state riconosciute le attenuanti generiche e in primo grado cadde l’aggravante mafiosa. Quattro anni di reclusione per Monia Greco, moglie di Nicola Liardo. Anche per la sua posizione venne meno l’aggravante mafiosa e le vennero riconosciute le attenuanti generiche. Otto mesi, con pena sospesa, per la figlia, Dorotea Liardo. Tre anni e tre mesi di detenzione, infine, a Salvatore Raniolo. La procura generale, sostenendo l’appello proposto dai pm, aveva concluso indicando ventuno anni di reclusione per Nicola Liardo, diciassette anni e nove mesi per Salvatore Raniolo, sedici anni di detenzione per Giuseppe Liardo, dodici anni per Monia Greco e dieci anni per Dorotea Liardo.

I legali di difesa hanno nuovamente escluso l’esistenza di un’organizzazione imperniata intorno alla famiglia Liardo. Gli avvocati Davide Limoncello, Giacomo Ventura e Flavio Sinatra, hanno esposto le ragioni alla base dei ricorsi presentati. Non ci sarebbero mai state, secondo la loro ricostruzione, evidenze effettive di un qualsiasi coinvolgimento nelle imposizioni e nella gestione della droga. L’inchiesta ebbe come base ciò che emerse dalle intercettazioni che venivano effettuate in carcere, anche nel corso di colloqui tra Liardo e i familiari.

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