Droga nella movida, “non era organizzazione”: annullamento per Grillo, Radicia e Brancato

 
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Gela. Centinaia di episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, tutti concentrati in città, quasi esclusivamente nelle piazze della movida. Rocco Grillo, Antonio Radicia ed Emanuele Brancato furono toccati dall’indagine “Smart”. La condanna è arrivata sia in primo che in secondo grado. Nelle scorse ore, però, la Corte di Cassazione ha deciso l’annullamento sul punto della presunta esistenza di un’associazione, dedita proprio allo spaccio di droga. Dovrà essere nuovamente la Corte d’appello di Caltanissetta a pronunciarsi sui tre. Per Brancato, assistito dagli avvocati Giacomo Ventura e Giuliano Domenici, l’annullamento con rinvio è stato deciso anche per un’altra contestazione, rispetto alla definizione effettiva dell’entità della pena. Anche davanti ai giudici romani, le difese hanno escluso l’esistenza di un sodalizio, composto dai tre, che avrebbe garantito droga nella movida. Non ci sarebbero stati riscontri pratici, neanche con sequestri. L’operazione fu condotta dai pm della Dda di Caltanissetta e dai carabinieri. In base alle accuse, gli imputati avrebbero avuto un filo diretto per le forniture di droga. Le contestazioni più consistenti erano concentrate su Grillo, difeso dall’avvocato Davide Limoncello (così come Radicia). In appello, le pene erano state riviste al ribasso.

Otto anni di detenzione a Rocco Grillo (in abbreviato era stato condannato a dieci anni e sei mesi); cinque anni e sei mesi ad Emanuele Brancato (il gup gli aveva imposto sei anni e sei mesi); quattro anni e dieci mesi ad Antonio Radicia (la condanna impugnata era stata a sei anni e sei mesi). Gli imputati hanno sempre negato qualsiasi collegamento per l’affare della droga. I legali hanno richiamato alcuni passaggi della decisione di appello, che cita una precedente pronuncia della Cassazione, ma che non avrebbe incidenza sul caso dei tre imputati. La Corte d’appello nissena dovrà ritornare sulle vicende del blitz “Smart”, eventualmente rivedendo le pene, in base a quanto concluso dai giudici romani che hanno accolto alcuni punti dei ricorsi difensivi.

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