È possibile pensare ad un’economia del “dono” in grado di salvare il mondo?

 
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Gela. Provare ad introdurre un’altra dimensione dell’economia deve partire dal superamento del principio secondo il quale la sola economia di mercato appare in grado di assicurare la soddisfazione dei bisogni materiali. Ciò presuppone la consapevolezza che una funzione del benessere non possa recintarsi soltanto entro gli ambienti dei bisogni materiali, ma esiste uno spazio ragionevole per forme di scambio sociale “diverse”

Economia del dono, forme solidali di redistribuzione convivono, da parecchio tempo, con lo scambio mercantile, anche se solo quest’ultimo appare come prevalente e soprattutto inquadrato dal punto di vista sociale. Ma è pur vero che la maggior parte dei beni necessari alla realizzazione di un’esistenza dignitosa venga realizzata in uno scenario di un’economia di mercato, così come è chiaro che l’accesso ai meccanismi di mercato finisca con il produrre un grado significativo di dipendenze da tali meccanismi. Però, proprio per limitare questo grado di dipendenza è necessario evitare che economia sostanziale ed economia formale si indentifichino totalmente.

Ed ecco che appare l’economia del dono che trae la propria origine dalla cultura filantropica nordamericana e che riguarda soprattutto il modo in cui in America si finanziano ricerca ed educazione. La cultura filantropica ha come base ideologica la convinzione che la vita sociale è un terreno di guerra permanente dove alcuni si affermano a danni di altri. I ricchi rappresentano solo un prodotto della selezione naturale ma hanno il dovere di rendere alla società una parte della loro ricchezza per aiutare i poveri, consentendo loro di elevarsi socialmente. Non si tratta di elemosina, ma di organizzare la carità costruendo biblioteche, scuole, ospedali.

Il dono viene vissuto come una forma di rinuncia e sinonimo di disinteresse, quasi ad assumere la dimensione del sacrificio e della rottura con i vincoli materiali dell’economia. Appare evidente il rapporto con la religione e con i valori trascendenti. Peraltro, una ulteriore dimensione del dono è la non reciprocità, cosa che fa del dono un atto di altruismo, vale a dire che con l’atto di donazione si realizza una rottura con la logica dello scambio e del mercato.

Ipotesi straordinaria e che riveste particolare interesse per coloro che gestiscono la “Politica” e che si propongono, nel contempo, l’obiettivo dello sviluppo e del consenso.

Alessandro Morselli

Docente di Politica Economica Internazionale

Università Unitelma Sapienza di Roma

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