“Enzo Morso nel covo di Emmanuello prima che morisse”, Nicastro parla in aula

 
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Gela. Sembrava destinata alla sola elencazione delle richieste di condanna nei confronti dei sedici imputati del processo scaturito dalla maxi inchiesta antimafia “Tetragona”.

Invece, durante l’ultima udienza andata in scena, il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Gabriele Paci è riuscito ad ottenere l’esame del collaboratore di giustizia Fabio Nicastro.
Quindi, spazio alla sua deposizione per far luce sugli affari di cosa nostra locale nella provincia di Varese e richieste rinviate alla prossima udienza del 22 ottobre.
“Io e Rosario Vizzini, per conto del clan retto da Antonio e Crocifisso Rinzivillo – ha spiegato – facemmo terra bruciata a Busto Arsizio intorno al 2003. Tutti gli imprenditori che lavoravano in quella zona dovevano pagare. Ricordo, comunque, che il contatto diretto con Crocifisso Rinzivillo che viveva a Roma era Aldo Pione”.
Secondo Nicastro, decisiva negli assetti interni ai clan locali, compresi quelli con base al nord, sarebbe stata la morte del latitante Daniele Emmanuello. “Qualche giorno dopo il blitz nel suo covo – ha spiegato – Vincenzo Morso e Emanuele Monachella vollero incontrare me e Vizzini a Gela. Loro volevano riprendersi la città ma a noi interessava soprattutto il nord. In quel periodo, in città c’erano troppi sbirri. Proprio Enzo Morso si trovava nel covo di Daniele Emmanuello la sera prima che venisse ucciso dagli agenti di polizia”.
Il clan Rinzivillo nel varesotto, in base alle sue dichiarazioni, mirava ad importanti lavori. “Cercammo – ha detto – di entrare nei cantieri per l’Expo. Poi, i rapporti tra me e Rosario Vizzini si raffreddarono. Chiesi a Crocifisso Rinzivillo di poterlo uccidere”.
La versione resa in aula dal collaboratore di giustizia, per anni uomo d’onore della famiglia Rinzivillo a Busto Arsizio, è stata contestata dagli avvocati difensori Giacomo Ventura, Danilo Tipo e Nicoletta Cauchi. Al centro del contendere, anche il ruolo ricoperto da Emanuele Monachella. “Vizzini – ha spiegato Nicastro – mi disse che Monachella e Morso erano un’unica cosa”.
L’avvocato Tipo, davanti ad una deposizione non prevista, ha chiesto la separazione delle posizione processuali di Aldo Pione, Claudio Conti e Pietro Caielli. Una decisione sarà assunta dal collegio presieduto dal giudice Paolo Fiore, affiancato dai magistrati Manuela Matta e Vincenzo Di Blasi, nel corso dell’udienza del 22 ottobre.
Il collaboratore sentito in videoconferenza non ha nascosto particolari neanche sul fronte di un presunto sfruttamento degli operai gelesi utilizzati in diversi cantieri avviati da imprenditori vicini al clan. “Si faceva la cresta – ha concluso – gli operai sapevano che una parte dello stipendio lo dovevano lasciare all’impresa perché serviva per i carusi”.

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