“Extra fines”, affari per rilanciare clan Rinzivillo: condanne impugnate, fissata Cassazione

 
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Gela. La famiglia di mafia dei Rinzivillo avrebbe cercato di riorganizzare i propri ranghi, focalizzando le mire su alcuni settori economici e appoggiandosi ad imprenditori ed esercenti, considerati vicini al gruppo. Fatti confluiti nella maxi indagine “Extra fines”, tutta incentrata sulle mosse del boss Salvatore Rinzivillo, considerato nuovo reggente e attualmente detenuto in regime di 41 bis. E’ stata fissata l’udienza in Cassazione. Lo scorso anno, la Corte d’appello di Caltanissetta confermò quasi del tutto le decisioni del collegio penale di Gela, seppur con alcune condanne riviste rispetto all’entità. Su queste decisioni, a luglio, si pronuncerà la Corte di Cassazione, che valuterà i ricorsi presentati dai legali di tutti gli imputati.

In appello, la condanna è stata pronunciata anche per l’imprenditore Emanuele Catania (sei anni e otto mesi di reclusione a fronte di una richiesta della procura generale di dieci anni). I giudici del collegio penale del tribunale locale, in primo grado, avevano invece deciso per l’assoluzione. Secondo le accuse, l’imprenditore, alla testa di un importante gruppo aziendale che opera nel settore ittico, avrebbe avuto rapporti con il boss Salvatore Rinzivillo. Lo stesso imprenditore ha parlato di una totale assenza di legami, anche commerciali, con il boss. Assolto, invece, Giuseppe Licata, titolare di ditte di automezzi. Anche per la sua posizione c’era stata l’impugnazione della procura, a seguito di un’assoluzione di primo grado. La difesa, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, ha ribadito l’assenza di elementi che potessero collocarlo nell’orbita del clan Rinzivillo. Sono state confermate le condanne a Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti), Umberto Bongiorno (sei anni e otto mesi), Rosario Cattuto (dodici anni di detenzione mentre la difesa sostenuta dall’avvocato Riccardo Balsamo ha presentato anche in appello una serie di conclusioni che hanno messo in dubbio il legame tra l’imputato e il gruppo Rinzivillo), Francesco Majale (sei anni e otto mesi), Vincenzo Mulè (sei anni e otto mesi), Luigi Rinzivillo (sette anni), Giuseppe Rosciglione (sei anni) e Alfredo Santangelo (dieci anni e otto mesi). Per la posizione di Antonio Maranto (difeso dall’avvocato Roberto Salerno), i giudici di appello hanno riconosciuto le attenuanti generiche riducendo la condanna a sei anni e otto mesi di detenzione (in primo grado la pena era di otto anni). Ci sono state variazioni anche per gli esercenti Angelo Giannone (otto anni e un mese) e Carmelo Giannone (dodici anni e quattro mesi), con il riconoscimento della continuazione. Per Antonio Rinzivillo, fratello del sessantenne Salvatore Rinzivillo, i giudici di appello hanno riconosciuto la continuazione, con condanna a trenta anni di detenzione. Tutte le condanne sono state impugnate dalle difese, che escludono la sussistenza dei pesanti capi di imputazione. Altri coinvolti, compreso il boss, sono stati interessati da ulteriori costole processuali, scaturite sempre dall’inchiesta “Extra fines”. I giudici di appello, per completare le motivazioni, sfruttarono una proroga del termine di deposito.

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