“Extra fines”, l’imprenditore Catania si difende in appello: “Mai rapporti con Rinzivillo”

 
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Gela. In primo grado, i giudici del collegio penale del tribunale di Gela l’hanno assolto, escludendo legami, anche economici, con il boss sessantenne Salvatore Rinzivillo. L’imprenditore Emanuele Catania, anche davanti ai magistrati della Corte d’appello di Caltanissetta, ha ribadito la sua totale estraneità a logiche mafiose e ad eventuali interessi di Rinzivillo e di suoi possibili sodali. L’assoluzione di Catania è stata impugnata e si trova a rispondere alle accuse, anche in appello. E’ stato il difensore, l’avvocato Giacomo Ventura, a chiedere di poterlo sentire e l’imputato ha risposto alle domande, ripercorrendo l’evoluzione delle sue attività, nel settore del commercio ittico, nei mercati nazionali e internazionali. Già in primo grado, aveva ribadito di non aver mai messo a disposizione sue imprese per sostenere eventuali progetti di investimento, proposti da Rinzivillo o da uomini a lui vicini. Una ricostruzione confermata, anche davanti ai giudici nisseni e già presente nelle motivazioni della decisione di primo grado, favorevole all’imprenditore. Catania fu coinvolto nella maxi inchiesta “Extra fines”, ma le accuse caddero del tutto al termine del dibattimento di primo grado.

Le condanne, in primo grado, sono state pronunciate per i fratelli ergastolani Antonio Rinzivillo (venti anni di detenzione per i fatti successivi al 2008) e Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti). Sarebbero stati loro, seppur detenuti in carcere ormai da anni e sotto regime di 41 bis, a dare il comando della famiglia di Cosa nostra all’altro fratello, Salvatore. Si sarebbe mosso tra Roma, Gela e la Germania, con contatti frequenti fuori dall’Italia. Intorno a lui, avrebbero gravitato sodali, finiti nell’inchiesta e nel giudizio. Dodici anni sono stati imposti a Rosario Cattuto, già condannato per il troncone “Druso”. In primo grado, il collegio ha disposto la condanna anche per Carmelo Giannone e Angelo Giannone, padre e figlio impegnati nel commercio ittico. In base alle indagini, avrebbero sfruttato la vicinanza di Salvatore Rinzivillo non solo per allargare l’attività in altre province ma anche per riscuotere crediti o pretendere condizioni di favore. Gli inquirenti accertarono che uno dei loro capannoni venne messo a disposizione per una riunione tra esponenti dei clan. Carmelo Giannone è stato condannato a dodici anni di detenzione; Angelo Giannone a sette anni e nove mesi. Ad entrambi sono stati imposti altri quattro mesi, per una delle contestazioni definite con il rito abbreviato, che ha determinato invece l’assoluzione per accuse legate al possesso di armi. Dieci anni e otto mesi sono stati pronunciati per Alfredo Santangelo, imprenditore etneo che avrebbe fatto da tramite economico per i Rinzivillo. Otto anni per Antonio Maranto e sei anni a Giuseppe Rosciglione, che avrebbero dato la loro disponibilità per le messe a posto di operatori del settore ittico, in province dove gli affari dei Rinzivillo, secondo gli inquirenti, si stavano sviluppando. Sei anni e otto mesi sono stati imposti a Francesco Maiale, altro operatore del settore ittico che si sarebbe messo a disposizione. Sette anni di reclusione sono stati decisi per Luigi Rinzivillo, legato a Salvatore Rinzivillo da rapporti di parentela. L’attenzione degli investigatori si concentrò sulla sua sala scommesse, in base alle indagini usata anche per riunioni decise da Salvatore Rinzivillo. Sei anni e otto mesi sono stati pronunciati per Umberto Bongiorno, che attraverso Rinzivillo avrebbe tentato di concretizzare investimenti commerciali nella zona di Roma. Sei anni e otto mesi anche per Vincenzo Mulè, ritenuto molto vicino a Rinzivillo, anche rispetto all’intenzione di riallacciare rapporti negli Stati Uniti. Per le posizioni dei fratelli Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo, ma anche per quelle di Luigi Rinzivillo, Umberto Bongiorno, Rosario Cattuto, Angelo Giannone e Carmelo Giannone, sono state pronunciate assoluzioni, ma solo per alcune delle accuse che venivano mosse. E’ stata impugnata anche un’altra assoluzione, quella di Giuseppe Licata, titolare di aziende nel settore dell’autotrasporto e dei mezzi da lavoro. In aula, si tonerà la prossima settimana, per sentire altri imputati. Poi, toccherà alla procura generale avanzare le proprie richieste e infine saranno i legali di difesa ad esporre il contenuto dei loro ricorsi. Tutti puntano a rivedere le decisioni di primo grado. Tra i difensori, ci sono gli avvocati Flavio Sinatra, Riccardo Balsamo e Boris Pastorello.

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