Fece arrestare i suoi estortori ma ha cambiato identità, Miceli: “Non c’è gioia nel dolore altrui”

 
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Gela. Sono Nino Miceli, il fu Nino Miceli. Dopo avere denunciato, fatto arrestare e condannare illotempore i miei aguzzini, ho cambiato vita, identità, paese ed anche regione. Troppo esposto – mi hanno sempre riferito gli organi inquirenti – alle ritorsioni dei clan mafiosi che in quegli anni spadroneggiavano a Gela. Oggi le scrivo, perché sono rimasto profondamente colpito dall’articolo pubblicato sulla sua testata dal giornalista e amico Giuseppe D’Onchia. “Essere figlia di un mafioso al 41 bis é come una condanna”. Ho letto e riletto l’articolo. Ho provato ad immedesimarmi e a comprendere il peso terribile da sopportare per un’adolescente che ha solo la colpa di portare un cognome di un condannato al 41 bis. Un peso che divide con una madre che descrive forte ma che dietro questa forza apparente, chissà quale e quanta sofferenza nasconde. La ragazzina dice che “non esistono solo le vittime di mafia, ci sono anche le vittime dello Stato e della società”. Qui, adesso, entriamo in un territorio scivoloso. LS stato, questo Stato, ieri come oggi, é lontano per tutti ma molto di più lo é per i più deboli. Attenzione però: non bisogna addebitare tutto allo Stato. Non dimentichiamoci del libero arbitrio che ci fa responsabili delle nostre azioni. La società poi é figlia degenere di questo stato o forse meglio dire che questo Stato è figlio degenere di questa società.

Dire società, vuol dire tutto e tutti e tutti, nessuno. Allora, ciascuno dei compagni della sedicenne, professori, amiche e conoscenti, la città tutta, devono anzi dobbiamo comprendere che non solo in lei non c’é colpa, ma che lei potevamo essere noi. Una comunità può dimostrare la sua civiltà anche offrendo un lavoro ad una madre e a una moglie. Proprio oggi ho messo nero su bianco, riproponendomi di scrivere un altro libro sulla mia vita. E con un triste stato d’animo, ho scritto i miei sentimenti dopo la sentenza del processo Bronx 2. “Una vittoria che sa di rimpianti e tristezze. Non c’è gioia per il dolore altrui. Un pensiero va ai condannati, alla loro vita persa ma ancor di più per le famiglie ed in particolare per i figli e le figlie che avranno il peso di portare cognomi che li additano per colpe mai avute!”.

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