Flop della politica, reddito gestito tra diseguaglianze e “mediocrazia”

 
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Gela. La politica può e deve intervenire per influenzare la distribuzione del reddito e della ricchezza, e le disuguaglianze che ne derivano.
Le disuguaglianze in termini di reddito disponibile dipendono anche dalle politiche elaborate dai governi, al fine di correggere le disparità che derivano dai processi di mercato. Si può intervenire tramite la tassazione, i trasferimenti e la fornitura di servizi di welfare.
A frenare le possibilità di redistribuzione è anche l’incremento dei profitti della finanza che spesso sfuggono alla tassazione a seguito dei paradisi fiscali. Inoltre i salari bloccati e la debole crescita del Pil non consentono di disporre di risorse sufficienti per allargare la redistribuzione del reddito.
Nel corso degli anni, in Europa, sono state elaborate politiche di austerità con rigidità notevoli per i deficit pubblici, e sono state decrementate le prestazioni sociali. Queste misure, indirizzate a far ripartire la crescita, hanno procurato stagnazione e aumento delle disuguaglianze.

Il disimpegno della politica (“mediocrazia”) nel corso degli anni ha indebolito l’azione pubblica di contrasto della disparità di reddito. Il lavoro è reso sempre più precario, a seguito di contratti temporanei, contrassegnati da basse remunerazioni e da minore protezione, consentendo un incremento della frammentazione dei salari. Il capitale sta prendendo sempre più il sopravvento sul lavoro, producendo disuguaglianze tra le retribuzioni.
La drastica riduzione delle spese sociali, e soprattutto quelle per l’istruzione, hanno ristretto le opportunità di mobilità sociale, incrementando, di contro, il ruolo giocato dalla famiglia sulle prospettive di occupazione e di reddito. In tale contesto il disimpegno della politica ha creato un vuoto che è stato colmato da una cerchia ristretta di capitalisti che è riuscita a influenzare i processi politici a discapito del popolo e della democrazia.
L’incremento delle disuguaglianze dipende anche dalle decisione adottate sul modo di operare sui mercati; ad esempio, le liberalizzazioni sfrenate hanno creato nuove disuguaglianze, precludendo a molti l’accesso ai servizi che prima erano disponibili a tutti.
La politica può contrastare il fenomeno delle disuguaglianze, ma facciamo attenzione a non deragliare sul terreno della perfetta uguaglianza. Le disuguaglianze vanno corrette e non eliminate completamente, poiché una società perfettamente egualitaria sarebbe ingiusta. Nel contempo, si può pensare a disuguaglianze nei redditi, in base ad argomentazioni economiche e sociali, e riconoscere che le disuguaglianze odierne siano eccessive e fonte di nocumento al buon funzionamento della società.
Quanto suindicato,ci consente di porre in evidenza che le dimensioni e le caratteristiche della disuguaglianza dovrebbero provenire da decisioni democratiche, e non da forze esterne che operano per interessi personali.

Alessandro Morselli, docente di politica economica internazionale, Università di Roma Unitelma Sapienza

1 commento

  1. A prescindere che la crescita è solamente qualche decimale di punto, ma nelle migliori delle ipotesi che la crescita, magari per qualche miracolo superasse il 2% non risolverebbe i problemi occupazionali e delle famiglie.( Per il fatto che la tecnologia produce quello che una volta si produceva attraverso i lavoratori. Bastava un 2% di crescita è voilà si ripartiva con i posti di lavoro, con i redditi, con i consumi e con quello anche le speranze individuali e collettive. Oggi è tutto piatto, la rassegnazione a preso il posto della speranza, proprio per il fatto che l’economia finanziaria ha preso il sopravvento su quella reale, producendo solo diseguaglianze, perchè il 10% ha in mano il 60% del PIL e quel 90%: il misero 40%sempre del PIL. Da dove inizierei personalmente per provare ad invertire la rotta? 1,attraverso il reddito garantito, ma mancano le risorse. 2, i lavori pubblici dovrebbero essere gestiti, da aziende pubbliche. Vero, che molti dipendenti per eccesso di sicurezza produrrebbero il 70%, ma il 70 non è lo zero, è una percentuale inferiore a quella del libero mercato, ma che si potrebbe rivelare un volano di crescita, per il fatto che i redditi producono consumi, senza trascurare il fatto che dalle nuove aspettative collettive si potrebbero innescare gli anticorpi per evitare che le città diventino dei deserti. ( Con un’occhio particolare ai giovani che sono la vera risorsa).

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