Fondi distratti e una “testa di legno” per gestire l’azienda, imprenditore condannato

 
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Gela. Per la procura, ha distratto fondi dal fallimento di un’azienda, che sarebbe stata a lui riconducibile. Il collegio penale del tribunale ha condannato, a tre anni di reclusione, l’imprenditore Cristian Paradiso, accusato anche di bancarotta. L’indagine si concentrò sulle sorti della “General Impianti”, poi fallita. In base alle accuse, Paradiso avrebbe portato avanti l’azienda metalmeccanica, formalmente intestandola ad una “testa di legno”, Francesco Faraci, a sua volta condannato a due anni di reclusione. Il pm Ubaldo Leo, nella requisitoria finale, ha ripercorso le sorti dell’azienda, confermando che il vero “regista” delle scelte societarie era esclusivamente Paradiso, che però risultava inquadrato come impiegato amministrativo. Il magistrato ha spiegato che l’azienda veniva utilizzata come se fosse “una cosa privata” di Paradiso, che usò fondi anche per acquisti personali. Dalle verifiche, inoltre, emerse che Faraci, sulla carta amministratore dell’azienda, in realtà non aveva alcuna formazione né capacità vere per portare avanti le attività. “Era sempre Paradiso ad occuparsi delle trattative, anche con aziende di notevole importanza nazionale”, ha detto il pm. La richiesta di condanna era a quattro anni e sei mesi. Il collegio penale ha imposto tre anni all’imprenditore, confermando due anni per Faraci (come chiesto dal pm). La difesa degli imputati, sostenuta dall’avvocato Joseph Donegani, ha esposto una prospettiva diversa, respingendo la ricostruzione fornita dalla procura. Il legale ha fatto riferimento, comunque, ad operazioni legittime. Paradiso non avrebbe usato la carica di Faraci per coprire scelte, che invece erano esclusivamente proprie.

Il legale ha richiamato alcuni atti societari ma anche incontri con imprenditori e referenti di aziende, con le quali la “General Impianti” ebbe rapporti commerciali. La difesa ha sostenuto che si trattava di una “società sana lontana dal rischio del fallimento”. Il collegio penale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro e Martina Scuderoni) ha emesso le condanne. La difesa impugnerà, rivolgendosi alla Corte d’appello.

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