Fuoco e intimidazioni, parla Cascino: “soffiate anche dalle forze dell’ordine”

 
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Gela. “Chi era vicino al nostro gruppo aveva la sicurezza di essere protetto. Poteva commettere furti e altri reati, c’era la protezione.

Alcuni uomini delle forze dell’ordine ci informavano in anticipo su eventuali perquisizioni. Così, avevamo il tempo di far sparire tutto”. “Gli bruciai la baracca quindici volte”. Il collaboratore di giustizia Emanuele Cascino, ex fedelissimo del boss Giuseppe Alferi, è stato sentito, davanti al collegio presieduto dal giudice Paolo Fiore, nel corso del dibattimento che si sta celebrando a carico di Francesco D’Amico, Felice e Gianfranco Turco, Giuseppe Vinci, Francesco Alma e Rosario Consiglio. Gli imputati sono tutti accusati di aver fatto parte del gruppo capeggiato da Alferi e di aver messo a segno furti e danneggiamenti in città. Tra gli obiettivi, ci sarebbero stati anche i cantieri edili dell’imprenditore Emanuele Mondello, costituitosi parte civile con l’avvocato Vittorio Giardino. Si tratta di uno dei procedimenti scaturiti dal blitz antimafia “Inferis”. “Conosco molto bene Rosario Consiglio – ha proseguito Cascino – si occupava d’usura. Gli bruciai la baracca di frutta e verdura che gestiva in via Tevere almeno quindici volte. Non ricordo bene le date anche perché, a Gela, gli incendi e i danneggiamenti erano quasi tutti opera mia”.

Gli avvertimenti dell’ex fedelissimo. Il collaboratore di giustizia, collegato in videoconferenza da un sito riservato, ha risposto alle domande formulate dal pm Onelio Dodero e dai legali di difesa, gli avvocati Carmelo Tuccio, Salvo Macrì, Flavio Sinatra e Nicoletta Cauchi. Il confronto verbale più teso, però, è scattato proprio durante l’intervento dell’avvocato Macrì, difensore di Francesco Alma, Gianfranco Turco e Rosario Consiglio. Il legale ha fatto riferimento alla possibilità che, nonostante la scelta di collaborare con la giustizia, Cascino avesse comunque mantenuto rapporti in città con i propri familiari e non solo. “Cosa devo risponderle? Devo riferire su fatti che sono personali? – ha replicato il collaboratore – lei mi conosce bene. Ricorda che le ho bruciato tre auto?”. Nonostante le risposte provocatorie arrivate dal collaboratore, il legale ha proseguito nel suo esame. “L’ordine di bruciare la baracca di Consiglio – ha risposto ancora Cascino – partì direttamente da Giuseppe Alferi. Voleva che Consiglio si avvicinasse a lui. In quel periodo, infatti, era compare solo del fratello Sebastiano. Aveva anche una sua foto all’interno della baracca di frutta e verdura”. Intanto, su richiesta dei difensori degli imputati, sono stati prodotti diversi verbali d’interrogatorio resi proprio da Cascino all’indomani della sua scelta di collaborare. “Ho deciso di collaborare – ha concluso il collaboratore – perché sono stato tradito. Non tanto da Giuseppe Alferi ma dai suoi familiari. Ero stanco di subire attentati anche quando ero in compagnia dei miei figli piccoli”.

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