Gela, dov’è la verità?

 
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Diciamolo subito e non giriamoci intorno che girare intorno alle cose provoca smarrimenti e perdite di equilibrio e con i tempi tristi che corrono

non possiamo permetterceli, è già tanto se – stamattina – al nostro risveglio, l’auto è ancora sotto casa e non è morta sotto una vampa di fuoco. O rinata, certo, qualora fosse una vettura Araba Fenice. Siamo influenzabili e, come se questo non bastasse, siamo facili agli entusiasmi e ogni volta che un piccolo entusiasmo bussa alla nostra porta noi lo trasformiamo nella figurina Panini mancante per l’album “Cose vere del nostro tempo”.

Vere, quanto? Ed ecco che arriviamo al punto.

Negli ultimi tempi- in ogni ambito di studio – si fa sempre più strada l’era della “post verità” o “post truth” per i più cosmopoliti. Che poi sono gli stessi che chiamano “meeting” un semplice incontro dal carrozziere per definire il danno. Ma questa è un’altra storia.

La post verità – cioè una sorta di verità posticcia, basata più su una dimensione emotiva spiazzante (ecco, il facile entusiasmo!) che su una razionale percezione della realtà (ecco, l’essere influenzabili!).

Quindi, una bugia!

Se state declinando la parola bugia con altra più calzante e che renda meglio l’idea, è  proprio quella ma io non posso riportarla.

Le bugie sono difficili da individuare nell’era della “post verità”, se non altro perché – paradossalmente – sembra che non esistano. Sembra che nulla di ciò di cui siamo convinti, o di cui ci siamo convinti per “sentito dire”,  possa essere disconosciuto da una forza potentissima e spazza baggianate che si chiama verità.

Pensiamo, per esempio, al clamore che ha avuto la presunta scoperta della Stonehenge gelese. Davanti alla notizia, intanto, ci siamo tutti sentiti un pò archeologi, diciamolo! Immaginavamo già Barbara D’Urso tra le strade di Gela a chiederci  “ lei sapeva come si scrivesse e cosa fosse Stonehenge prima di questo momento?”. Perché in quel preciso istante, l’entusiasmo per una vicenda che la maggior parte di noi non sapeva neanche cosa fosse (non mentiamo su!) ci ha pervaso così tanto che ci vedevamo già tutti a dire a qualche inviato, “io ho sempre saputo fosse lì, ma ho taciuto perchè non sapevo pronunciare il nome e avevo paura che mi chiedessero di scriverlo”.

Poco dopo però,  tutti a chiedersi se la Stonehenge non fosse in realtà solo una roccia.

Vale solo per questo? Ovviamente, no.

Era giugno 2015,  quando il Movimento cinque stelle si insediava a Palazzo di Città e tutti pensavamo di veder  le stelle anche di giorno. Un sentimento di fiducia nel mondo ci solleticava dentro e la maggior parte di noi si sentiva come il sopravvissuto ad un attacco nucleare. Non mi pare che sul punto ci sia necessità di dilungarsi, perché, il resto o il post, si chiama oggi Sviluppo Democratico.

Ancora.

Pensiamo al periodo di austerity che stiamo attraversando in città e a tutti i posti di lavoro persi in generale, ma in particolare per il fermo della raffineria, evidentemente unica opzione per l’esistenza di questa città.

Il samurai Rosario Crocetta pochi anni fa gridava da ogni palco, “non un solo posto di lavoro si perderà, Eni  dovrà vedersela con me!”. Anche lì, l’entusiasmo (o nel caso di specie, l’impotenza) fregava tutti ( ma non lui, eh!), e ad alcuni è pure parso di veder  librare in aria il buon samurai muovendo le spade a difesa dei lavoratori. Che brividi a ripensarci ora, eh!

Eppure, una sera dell’anno appena trascorso, il Presidentissimo, ospite nel “salotto” di una trasmissione televisiva diceva, “Gela non è in ginocchio!”.

No, Presidentissimo! Gela non è in ginocchio, è lei – al massimo – che è seduto troppo comodo e, forse, dovrebbe sgranchirsi le gambe e inginocchiarsi insieme a noi. Distendersi.

O ancora. Quanto c’è del concetto di “post verità” per gli interventi che riguardano il porto rifugio? Sembrava che quella penna tenuta in mano dal Presidentissimo samurai grondasse sangue al momento della firma dell’accordo per gli interventi di adeguamento. Anche in quel caso, tutti a entusiasmarci e a pensare – alcuni dei presenti già all’atto della firma Santa – di scriverne un libro per spiegarci come si cammina sulle acque. Salvo il fatto che, sempre alcuni dei presenti, non indovinerebbero un congiuntivo neanche se non fosse insabbiato. Un po’ come Luigi Di Maio, anche loro tentano e ritentano, si mettono la corona e proclamano e tirano la giacchetta.  E parlano, parlano, parlano. Si insabbiano. Ovviamente, lo stato del porto rifugio è ancora sotto gli occhi di tutti.

Insomma, nell’era della “post verità”, della verità posticcia tutta fondata sul sentimentalismo speranzoso del cambiamento, dov’è la verità?

Anzi, dove sono i bugiardi? E come si fanno chiamare?

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