Gioielleria “spaccata”, fecero da tramite per refurtiva: condanne a Di Noto e Gagliano

 
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La "spaccata" venne ripresa dai sistemi di videosorveglianza dell'attività commerciale

Gela. Avrebbero fatto da tramite, consentendo ai titolari della gioielleria “spaccata” un anno fa, in pieno lockdown, di riavere gran parte della refurtiva. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro e Francesca Pulvirenti) ha condannato ad otto anni e quattro mesi di reclusione Giacomo Di Noto e a cinque anni Dario Gagliano. Sono stati ritenuti responsabili di estorsione. L’assoluzione, invece, è stata pronunciata per il reato di ricettazione. Per la “spaccata” alla gioielleria “Rachele”, in centro storico, erano già stati condannati gli autori materiali, Carmelo Martines, Michael Smecca e Claudio Lombardo. Secondo quanto ricostruito dai pm della procura e dai poliziotti del commissariato, Di Noto e Gagliano, dopo il colpo subito dai titolari dell’attività, avrebbero iniziato ad aprire la strada per la restituzione del bottino, ma dietro la consegna, tra le altre cose, di un orologio Hamilton da circa 1.600 euro, finito allo stesso Di Noto. Per i pm, si sarebbe trattato di una sorta di cavallo di ritorno, con la piena consapevolezza dei titolari della gioielleria. Uno di loro e un familiare, a loro volta sono stati indagati. Il pm Federica Scuderi, a conclusione di una lunga requisitoria, ha confermato le accuse chiedendo pene anche più pesanti, dodici anni e otto mesi per Di Noto e otto anni per Gagliano. Proprio su Di Noto si concentrarono parecchie attenzioni investigative, soprattutto perché, secondo l’accusa, avrebbe fatto pesare i suoi precedenti per mafia. Gagliano, che ha rilasciato dichiarazioni spontanee in aula, ha spiegato di aver sempre lavorato. Il suo reddito sarebbe da collegare esclusivamente all’attività di operaio. Per gli inquirenti, però, le effettive disponibilità e la proprietà di una Mercedes dimostrerebbero un tenore di vita decisamente differente. Alla fine, il collegio penale ha disposto il dissequestro dell’auto, mentre ha deciso per la confisca dell’orologio Hamilton. Gli inquirenti monitorarono incontri tra familiari dei proprietari della gioielleria e gli imputati. Con Gagliano, è stato spiegato, c’erano già rapporti di amicizia e non solo. Entrambi gli imputati avrebbero approfittato di questa vicinanza per fare da tramite con i ladri che colpirono. Loro hanno sempre escluso qualsiasi coinvolgimento. Il colpò fruttò circa settantamila euro.

Il pm ha anche sottolineato una certa reticenza da parte dei proprietari della gioielleria, che chiamati a testimoniare, avrebbero preferito la linea del “non dire”. Le difese, sostenute dagli avvocati Flavio Sinatra e Cristina Alfieri, hanno condotto una lunga disamina anche sulla sussistenza dei presupposti dei reati. Hanno negato qualsiasi ipotesi di estorsione, ribadendo che non ci furono mai violenza e minacce. E’ stato spiegato, ricostruendo quanto emerso nel corso del dibattimento, che anche l’orologio Hamilton non era un “regalo” a Di Noto, per favorire la restituzione della refurtiva. Doveva essere consegnato ad un’altra persona. I legali hanno presentato un resoconto dei movimenti bancari riconducibili, in quel periodo, ai titolari della gioielleria. I poliziotti, subito dopo il colpo, monitorarono incontri e contatti telefonici. Le difese, probabilmente, impugneranno le condanne emesse dal collegio penale.

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