I “carusi” della stidda con la stella tatuata, incendi e spari: Canotto ha svelato tutto ai pm

 
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Gela. Incendi, spari e spaccio di droga. Gli investigatori che hanno chiuso la maxi indagine “Stella cadente” hanno fatto molto affidamento sulle dichiarazioni del giovane collaboratore di giustizia Giovanni Canotto. Nonostante l’età, già da minore ha compiuto diversi reati, fino a quando ha scelto di collaborare con i magistrati, per “assicurare alla mia famiglia un futuro migliore”, ha spiegato ai pm della Dda di Caltanissetta. E’ stato uno dei principali “soldati” degli stiddari. Avrebbe seguito gli ordini di Bruno Di Giacomo e Gaetano Marino, che gli commissionavano attentati incendiari e intimidazioni con le armi. Canotto non si è tirato indietro e ha descritto ai pm diverse azioni di fuoco. Auto date alle fiamme, ma anche gli spari contro un’abitazione a Manfria, di proprietà di uno degli imprenditori dell’azienda “Ergomeccanica”, o l’esplosione della sede di un’azienda, in via Generale Cascino. Mercedes e Range Rover date alle fiamme, solo dopo aver ricevuto il via libera dai capi. Ha raccontato ai magistrati di aver iniziato come spacciatore e di essersi poi messo a disposizione per i danneggiamenti. Avrebbe ricevuto fino ad ottocento euro per ogni azione. Ma le sue parole hanno fatto capire che le famiglie di mafia, in città, si erano accordate per una sorta di equilibrio. Canotto si sarebbe messo in azione, anche dopo aver ricevuto ambasciate da Gianluca Pellegrino, ritenuto tra i vertici del gruppo di Cosa nostra. Il collaboratore ha accennato all’omicidio di Francesco Martines. Era minorenne quando venne freddato dal compagno della madre, Angelo Meroni (già condannato in via definitiva). “Omicidio per il quale sono indagato anche io”, ha detto.

E’ stato lui stesso a spiegare che il vero capo degli stiddari in città è Bruno Di Giacomo. Per i pm della Dda nissena, le dichiarazioni del neo collaboratore sono di “assoluta rilevanza”. Era uno dei giovani a disposizione. Alcuni di loro, per rivendicare l’appartenenza al gruppo, si tatuavano una stella. “Affascinati dalla malavita e desiderosi di farne parte”, scrivono gli investigatori.

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