I colloqui in carcere e il pizzino per chiedere i soldi all’imprenditore: “Era firmato da Liardo”

 
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Immagini di repertorio

Gela. Un biglietto con la richiesta di un prestito da duemila euro. Anche dal carcere il quarantatreenne Nicola Liardo avrebbe tentato di procacciare denaro. I soldi, attraverso il pizzino sequestrato dai carabinieri, li avrebbe dovuti versare un imprenditore locale. Liardo e la moglie Monia Greco sono a processo, davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Antonio Fiorenza). Il pizzino venne trovato dai carabinieri durante un controllo al figlio dei due imputati, all’epoca dei fatti ancora minorenne. I pm della Dda di Caltanissetta, ritengono che il giovane fosse stato incaricato di recapitare la richiesta all’imprenditore e hanno contestato l’accusa di tentata estorsione.

“Nel biglietto – ha detto uno dei carabinieri che effettuò i controlli – c’era la firma di Nicola Liardo e si faceva riferimento ad un prestito da duemila euro, da chiedere all’imprenditore Emanuele Mendola”. Alla prossima udienza, proprio l’imprenditore dovrebbe deporre in aula, così come chiesto dal pm Elena Caruso. Liardo e la moglie, difesi dagli avvocati Giacomo Ventura e Davide Limoncello, hanno sempre negato l’intenzione di estorcere denaro. Le indagini partirono dopo il sequestro del pizzino e come confermato dal perito sentito in aula, furono sottoposti ad intercettazione anche i colloqui in carcere tra Liardo e i familiari.

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