I primi sospetti, la mail, le morti dei gelesi in Iraq: c’è chi ha subito l’asportazione della calotta cranica

 
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Di Natale lavorava in un campo iracheno di Eni

Gela. Pare non ci sia ancora una data fissata per lo svolgimento delle operazioni autoptiche sul corpo del trentaseienne Filippo Russello. L’operatore di Eni è morto negli scorsi giorni, dopo un malore che lo ha stroncato mentre percorreva la Gela-Licata, in sella alla sua bici da corsa. I pm della procura, però, sarebbero impegnati in una serie di approfondimenti e verifiche. L’inchiesta potrebbe ampliarsi. Ormai, è chiaro che gli inquirenti cercheranno di capire se possano esserci collegamenti tra la sua morte, quella dell’altro operatore Eni Gianfranco Di Natale (sulla quale indagano i pm della procura di Palermo) e, probabilmente, altri casi ritenuti anomali. Nel campo iracheno, dove operavano stabilmente Russello e Di Natale, forse potrebbe esserci una risposta. Il sospetto c’è e l’avrebbero avuto anche diversi lavoratori della multinazionale, impegnati in quell’area. Almeno altri due gelesi, sempre dipendenti Eni e pare colleghi degli operatori deceduti, oggi si trovano a convivere con i postumi di gravi patologie. Uno di loro, negli scorsi mesi, ha dovuto subire l’asportazione di una parte della calotta cranica, dopo essere stato colpito da un aneurisma. Le visite effettuate all’ospedale San Raffaele di Milano, obbligatorie prima della partenza per l’Iraq, non avevano dato alcun riscontro negativo, anzi. Qualche tempo dopo, però, i primi sintomi al collo e poi l’aneurisma, con il trasferimento in un centro medico a Dubai, negli Emirati Arabi, l’intervento chirurgico e poi il ritorno in Italia.

Un altro collega, invece, sarebbe stato colpito da una trombosi alla gamba. Vicende che non hanno lasciato indifferenti i dipendenti di Eni, presenti in quel campo. Una mail sarebbe circolata tra diversi operatori, nel tentativo di darsi una spiegazione, davanti alle prime notizie di colleghi colpiti da strani malori. La stessa sorte dei due gelesi, deceduti, è toccata ad un operatore pakistano, a sua volta in servizio nello stesso campo. Nessuno lo conferma, ma pare che tra i lavoratori fosse diffusa la voce di eventuali contaminazioni, con sostanze pericolose. Un’ipotesi, che allo stato, non trova alcuna conferma.

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