Il blitz “Donne d’onore”, Giuseppe Liardo nega le estorsioni e la madre si difende, “nessun ordine dal carcere”

 
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Gela. Ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma

ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee.

“I soldi per i contributi dell’assunzione”. Il ventenne Giuseppe Liardo, arrestato dai carabinieri nel corso del blitz “Donne d’onore”, si è presentato davanti al giudice delle indagini preliminari del tribunale di Caltanissetta. Il figlio di Nicola Liardo, ritenuto il vero stratega capace dal carcere di gestire un giro di droga ed estorsioni, ha anzitutto escluso il coinvolgimento della madre, la quarantenne Monia Greco, e della sorella, a loro volta finite nell’inchiesta. “Dei miei viaggi a Catania e di quello che facevo – ha detto il giovane – non sapevano niente”. Il ventenne ha respinto le accuse legate alle estorsioni che sarebbero state imposte su ordine del padre. Le visite di Giuseppe Liardo sono finite al centro degli accertamenti, così è emersa la presunta richiesta di denaro fatta pervenire al titolare di un autolavaggio e a quello di un magazzino d’ortofrutta. “Settecentocinquanta euro – ha spiegato l’indagato – era la somma che dovevo pagare per coprire i contributi e farmi assumere all’autolavaggio. Mia madre intervenne solo a garanzia e la somma la chiesi al titolare dell’azienda ortofrutticola che era ancora in debito con mio padre per un prestito che gli aveva concesso in passato. Mia madre è intervenuta solo a garanzia”. Quindi, per il ventenne non ci sarebbe stata nessuna richiesta estorsiva, a differenza di quanto emerso durante l’inchiesta “Donne d’onore”, condotta dai carabinieri e coordinata dai pm della Dda di Caltanissetta. Difeso dall’avvocato Davide Limoncello, il giovane è attualmente detenuto. Anche la madre, sentita dal gip, sempre difesa dall’avvocato Limoncello, ha respinto le contestazioni.

“Nessun ordine dal carcere”. “Altro che donna d’onore, sono una donna disperata”, così avrebbe detto davanti al magistrato. In base alle dichiarazioni rese, ha ricostruito anche i rapporti con un’altra indagata, la catanese Maria Teresa Chiaramonte, compagna di Salvatore Crisafulli, ritenuto il braccio destro di Nicola Liardo nella gestione dell’affare della droga, tra Gela e Catania. “La conoscevo solo perché il suo compagno è stato in cella insieme a mio marito – ha spiegato Monia Greco – ci sentivamo per quel motivo, magari quando non era possibile andare in carcere alla visita settimanale”. Accuse negate anche dalla figlia della donna, a sua volta al centro dell’inchiesta, che ha escluso qualsiasi attività estorsiva o l’esistenza di ordini dal carcere, impartiti dal padre. Nei prossimi giorni, anche gli altri indagati verranno sentiti dai giudici.   

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