Il blitz “Redivivi”, l’ex capo Rosario Trubia: “rimango collaboratore…mio fratello non è affiliato”

 
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Gela. Ha difeso il fratello Davide, imputato insieme ad altri presunti complici, e ha ammesso di essere uscito dal programma speciale di protezione per i collaboratori di giustizia. Rosario Trubia, ex reggente della famiglia Emmanuello di cosa nostra, ha parlato nel corso del dibattimento scaturito dal blitz antimafia “Redivivi”. Tra gli imputati, c’è pure il fratello Davide, ritenuto responsabile di diverse estorsioni che sarebbero state messe a segno per conto della famiglia. “Sono stato io, dopo l’arresto – ha detto – a dirgli di girare per conto mio. Lui non ha mai fatto parte della famiglia. Dopo che lasciò il carcere, è ritornato a lavorare e non a fare estorsioni”. Rosario Trubia, però, ha sostenuto che l’uscita dal programma di protezione non pregiudicherà la sua collaborazione con la giustizia. “Sono uscito dal programma di protezione per mia volontà – ha detto – ma rimango un collaboratore. Purtroppo, dopo aver scelto di collaborare, la mia famiglia ha rotto ogni rapporto. Chi collabora viene considerato una cosa inutile”.

Il presunto gruppo Trubia. Per altri due ex reggenti del gruppo Emmanuello, invece, Davide Trubia sarebbe stato a disposizione della famiglia. L’hanno spiegato Gianluca Gammino e Fortunato Ferracane, rispondendo alle domande del pm della Dda di Caltanissetta Luigi Leghissa. “Camminava insieme a Gianluca Pellegrino – hanno detto – e si era messo a disposizione”. Proprio Davide Trubia, difeso dall’avvocato Nicoletta Cauchi, ha invece sempre sostenuto di non aver mai fatto parte della famiglia di cosa nostra, rinnegando qualsiasi affiliazione. Avrebbe chiesto soldi a diversi esercenti locali solo per cercare di garantire un supporto economico al fratello Rosario, intanto detenuto. L’esame dei tre collaboratori di giustizia chiude la lunga attività istruttoria, svoltasi davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Silvia Passanisi). A giudizio, oltre a Davide Trubia, ci sono Rosario Trubia, Luca Trubia, Simone Trubia, Rosario Caruso, il ventiseienne Rosario Trubia, Vincenzo Trubia. Per i pm della Dda nissena, farebbero parte di un vero e proprio gruppo di mafia, che avrebbe imposto il monopolio nelle campagne, controllando l’attività di raccolta della plastica. Parti civili sono l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, con gli avvocati Giuseppe Panebianco e Laura Cannizzaro, il Comune, rappresentato dall’avvocato Anna Gambino, l’associazione Codici e quattro operatori che sarebbero stati vittime delle presunte imposizioni dei Trubia, con l’avvocato Giovanni Bruscia. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Nicoletta Cauchi e Francesco Cottone.

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