Il clan doveva rinascere, condanne troppo lievi? Per Barberi, Musto e Rizzo decide la Corte d’appello

 
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Gela. Dovranno essere i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta a decidere anche sull’entità delle condanne

già pronunciate in primo grado nei confronti di Alessandro Barberi, Alberto Musto e Fabrizio Rizzo, ritenuti tutti affiliati a cosa nostra.

In primo grado condanne per oltre trent’anni. E’ arrivato, infatti, il verdetto dei magistrati della Corte di cassazione che hanno valutato il ricorso presentato dalla procura generale. In primo grado, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Caltanissetta pronunciò condanne per un totale di oltre trent’anni di detenzione. Dodici anni di reclusione per Barberi, dieci anni e quattro mesi imposti ad Alberto Musto e otto anni e due mesi comminati a Fabrizio Rizzo. Stando alle accuse, avrebbero tentato di riorganizzare la famiglia mafiosa sull’asse Gela-Niscemi, imponendo richieste estorsive anche ad importanti gruppi imprenditoriali. La scorsa estate, però, proprio la procura generale decise d’impugnare il verdetto, ritenendo troppo lievi quelle condanne pronunciate a conclusione del giudizio abbreviato. Così, tutto si spostò in Cassazione mentre i difensori dei tre imputati, gli avvocati Francesco Spataro, Flavio Sinatra e Antonio Impellizzeri, decidevano di rivolgersi alla Corte d’appello nissena per contestare le condanne subite dai loro assistiti. Adesso, dopo la decisione dei giudici romani di Cassazione, sia l’entità delle condanne già pronunciate sia i ricorsi presentati dai difensori dei tre verranno valutati, nello stesso giudizio, dalla Corte d’appello di Caltanissetta. Proprio in attesa che arrivasse la decisione da Roma, i giudici d’appello avevano deciso, lo scorso mese, di rinviare ad aprile la celebrazione della prima udienza del processo di secondo grado. Per gli stessi fatti, altri tre arrestati nel blitz “Fenice” si trovano davanti al collegio del tribunale di Gela: Luciano Albanelli, Salvatore Blanco e Alessandro Ficicchia hanno scelto di farsi giudicare in dibattimento.

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