Il crollo dell’ex opificio sul lungomare Federico II, parla un tecnico: “Rilasciai un preavviso di rigetto”

 
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Rimasero solo le macerie dell'ex opificio

Gela. Il crollo dell’ex opificio sul lungomare Federico II di Svevia non ha convinto i magistrati della procura. Così, davanti al giudice Ersilia Guzzetta sono finiti in quattro. “Rilasciai un preavviso di rigetto”. Si tratta dei titolari della società immobiliare proprietaria dell’area, del progettista e del titolare dell’azienda che si occupò dei primi interventi. Sono accusati d’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, omesso intervento per la messa in sicurezza e violazione della normativa urbanistica. A rispondere alle domande del pubblico ministero Sonia Tramontana e dei legali di difesa è stato uno degli ex funzionari del settore edilizia di Palazzo di Città che seguì buona parte dell’iter amministrativo. “I titolari dell’area – ha spiegato – chiedevano di ottenere il rilascio di una concessione edilizia con demolizione. Davanti all’istanza, io personalmente rilasciai un preavviso di rigetto. Il progetto contrastava sia con le norme del piano particolareggiato sia con quelle del piano paesistico della provincia. Purtroppo, ci accorgemmo dopo oltre un anno dell’esistenza di alcune norme dello stesso piano paesistico. C’era il rischio, inoltre, che l’immobile ricadesse sotto tutela 3”.

Incertezze sul piano paesistico. Il funzionario comunale, però, non ha escluso che tante incertezze legate anche alle planimetrie del piano paesistico possano aver inciso sull’intero iter del procedimento. “Non so dire molto sul crollo della struttura – ha continuato – in ogni caso, ci fu una seconda istruttoria sul progetto presentato e questa volta portata avanti a livello collegiale”. I difensori degli imputati, gli avvocati Antonio Gagliano, Giovanna Zappulla e Orazio Rinelli, hanno posto domande anche ad uno dei carabinieri che arrivò sul posto dopo il crollo. “I lavori erano fermi – ha ammesso il militare – fummo chiamati dal sindaco e dagli esponenti di alcune associazioni ambientaliste. C’era il sospetto che i lavori fossero abusivi”.

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