Il piano di risanamento ambientale snobbato, Giudice: “Che fine fanno le risorse stanziate?”

 
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La zona dello sversamento

Gela. Il piano di risanamento ambientale ormai da anni sembra quasi messo da parte. Definito nel 1995 per dettare le linee di intervento nell’area locale, fortemente colpita dagli effetti dell’impatto industriale, non è mai veramente entrato a regime. Un buco politico e istituzionale che sta riemergendo. “La situazione è molto grave – spiega Emilio Giudice responsabile della Riserva Orientata Biviere – l’ho detto anche durante l’audizione in commissione ambiente all’Ars. Credo che anche la politica stia facendo confusione. Una cosa sono le bonifiche, pensate in base al principio che chi inquina deve poi pagare per il danno causato, altra cosa invece è il rispetto del piano di risanamento ambientale che ovviamente ricomprende anche le attività di bonifica. Peraltro, la normativa europea prevede che per tutti i fenomeni di contaminazione precedenti al 2007 le aziende responsabili non possano essere chiamate a risponderne a livello di costi da sostenere”. Il responsabile della Riserva orientata da anni ormai segue tutte le procedure di bonifica e ha spesso denunciato le troppe storture del sistema. “Con le risorse stanziate per il piano di risanamento ambientale – dice ancora – vengono finanziate attività che sono ordinarie. Diverse centraline per il monitoraggio ambientale sono state pagate proprio con i soldi stanziati per le operazioni di risanamento ambientale. Queste coperture finanziarie con il tempo sono state ridotte ai minimi. Proprio su questi aspetti gli organi competenti dovrebbero avviare delle indagini serie”.

Nel corso della seduta convocata dal presidente della commissione ambiente dell’Ars Giusi Savarino è stata decisa la costituzione di una sottocommissione che si occuperà di valutare la vicenda dei ritardi negli iter di bonifica, come chiesto dal deputato grillino Nuccio Di Paola e dall’altro parlamentare gelese Giuseppe Arancio. “La riunione, probabilmente a causa del clamore mediatico degli ultimi tempi – conclude Giudice – è stata allargata anche ai manager Eni, che da quanto ci è stato comunicato hanno chiesto di partecipare. Il problema vero da affrontare è quello dell’uso che si fa delle risorse finanziarie del piano di risanamento ambientale. Si dà precedenza ad attività ordinarie ma ad esempio nessuno ha mai pensato ad un monitoraggio complessivo delle falde della Piana di Gela oppure a valutare l’eventuale presenza di diossina in determinate aree, soprattutto quelle dove sono presenti attività in serra”. Tante contraddizioni che per Giudice anche la magistratura dovrebbe iniziare a verificare con attenzione.

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