Il re galantuomo: Vittorio Emanuele II

 
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Nella foto: Vittorio Emanuele II di Saoia. Fonte: (https://ildieci.com/1820-2020-200-anni-dalla-nascita-di-vittorio-emanuele-ii-211/)

Gela. Sul re galantuomo, macellaio Savoiardo, abbiamo avuto occasione di mettere in evidenza i suoi grandi pregi che come tutti gli uomini del risorgimento Italiano, hanno un curriculum vitae ricco di nefandezze e di crimine, per essere ricordati, a detta dei bibliografi ufficiali, nelle strade delle nostre città. Il re dell’Italia, ancora non unificata nel mese di novembre 1860, con il suo luogotenente Cialdini, assassino e stupratore incallito, si apprestavano ad assaltare la roccaforte di Gaeta, ancora difesa direttamente dal re Francesco II e dalla sua regina. Le forze Borboniche si trovavano accampate sulla riva destra del Garigliano, mentre quelle Piemontesi, al comando del generale Persano “l’eroe di Ancona”, si stavano muovendo silenziosamente ad occupare la posizione delle forza Francesi che doveva proteggere il papa e il re Borbonico Francesco II. Mentre in effetti volevano la distruzione sia del Papa che del re Borbone.   I napoletani, quella sera, non si aspettavano l’attacco dei piemontesi da quella parte e resistettero pagando un contributo di sangue non indifferente. Il generale li attaccò con bombe e granate da pezzi rigate da 80, malamente diretti. Durante la notte, arrivò l’ordine di ritirata ma quella guarnigione fu lasciata per poi garantire la ritirata delle truppe. I pimontesi, che aspettavano sulle rive del Garigliano, non attaccarono i Borboni per paura che il ponte fosse minato e aspettarono che il campo fosse completamente vuoto.

Non appena videro passare l’ultima brigata si accinsero ad attraversare da destra il fiume la brigata, agli ordini del Generale De Sonnez, che subito assalì i napoletani, che pur avendo avuto l’ordine di ritirarsi, attaccarono il nemico e 400 persone comandati dal Capitano Bozzelli “novello Leonida alle Termopoli”,  arrestarono l’avanzata dei piemontesi.  I piemontesi alla fine circondarono e decimarono l’intero corpo che si diede, assieme al capitano, alla morte. Il 22 del mese di gennaio del I861, i Borboni lanciarono più di centosettantamila pezzi, per rispondere al generale Cialdini dell’attacco operato con tanta violenza l’otto gennaio, infatti la piattaforma Borbonica voleva dimostrare la sua potenza di fuoco ai nostri liberatori, impegnati a distruggere Gaeta con rovine e morti, morti e rovine per la peste e per i bombardamenti.

La sera, ancora i bombardamenti continuavano ad uccidere e una grossa bomba, entrò in una batteria Borbonica, provocando una esplosione tremenda dove perirono 15 militari, il comandante Enrico Savio e 24 rimasero feriti. Ma un altro terribile nemico operava contro i Borboni: il tifo che già a dicembre contava novanta casi e tredici decessi al giorno, che pur decrescendo si manteneva per tutto il mese di dicembre nella media dei 50 casi con 4 o 5 decessi giornalieri. I decessi colpirono anche la famiglia reale con la morte dell’istruttore del re Francesco II, quando era duca di Calabria, il generale Ferrari, il generale duca di Sangro e l’abate Eichholzer, confessore della regina. Così, dopo la fame, la peste, le bombe e ancora bombe regnavano nell’accampamento. Cialdini fece costruire 15 batterie con cinquantanove cannoni di grosso calibro, di cui cinquantadue rigati e sette ad anima liscia, oltre diciotto mortai che lanciavano bombe a non finire, questi micidiali strumenti ci fornivano i nostri liberatori. Il re e la regina Borboni, si muovevano da una postazione all’altra, per dare aiuto e portare conforto ai combattenti, ma il macellaio Vittorio Emanuele II si dilettava con la sua bella contadinella al sicuro fuori dalla battaglia. Molte erano le persone che morivano sotto le rovine delle case o in mezzo agli incendi provocati.

Intanto, per i giornali di quel tempo, i piemontesi erano valorosi e i Napoletani codardi. Il 4 febbraio lo scoppio di una granata provocò un incendio spaventoso vicino alla polveriera e si temette per il deposito di munizioni. Un certo signor Chiapparelli, legato con una fune stava smorzando il fuoco piano piano, quando fu avvistato dai Piemontesi che iniziarono a sparare, costringendolo a risalire per non essere falciato dai proiettili.  La stessa sera un proiettile nemico sfondò il muro della riserva delle munizioni provocando una breccia di sei metri e un cannone saltò in aria, ma lo scoppio più terribile avvenne il 5 febbraio 1861 alle 4 del pomeriggio facendo saltare quaranta quintali di polvere e quarantamila quintali di cartucce, dove tutto prese fuoco. Giunse subito l’ordine di recarsi sul luogo del disastro per salvare e recuperare i feriti. Giunti sul luogo del disastro lo spettacolo era orribile: più di 400 militari sotto le macerie e oltre un centinaio di civili di tutte le età sotto le case abbattute, mentre il fuoco nemico continuava a colpire senza pietà le persone intente a salvare qualche superstite, ma il Generale Cialdini, continuava a sparare imperterrito, tanto da spingere ad aprire il fuoco contro i piemontesi e, come se non bastasse, la flotta piemontese, si avvicina e scarica bordate sul luogo del disastro. Altri due scoppi si verificano e fanno saltare la polveriera, dove il nemico concentra tutto il fuoco delle navi e dell’artiglieria per evitare che i soccorsi intervenissero per salvare i feriti. Questo il comportamento dei nostri liberatori, che rifiutarono la tregua per non dare spazio ai salvataggi, però sono venuti per liberarci. Sui collaboratori del re galantuomo, nessuno si è mai sognato di aprire una inchiesta, anzi sono state consegnate beneficenze e i nomi di questi criminali di guerra che siamo costretti a leggerli nelle nostre vie cittadine. Lo stesso comportamento dei marocchini, nostri liberatori, che dopo la vittoria di Montecassino, furono lasciati liberi, dai nostri salvatori inglesi e francesi, di saccheggiare le contrade del Lazio e della Campania. Che grande fortuna ha avuto il meridione, sempre salvato dai suoi grandi e accaniti saccheggiatori!

Salta la polveriera con settemila chilogrammi di polvere e quarantamila cartucce e molti altri proiettili carichi di artiglieria e subito i piemontesi concentrarono il fuoco sul luogo del disastro. Lo scoppio tremendo, aprì sul muro di sostegno, una breccia di oltre quaranta metri, dove saltarono in aria sei cannoni e tutte le costruzioni della cittadella, lesionando la chiesa di San Biagio. Nessuno gridò “Avanti Savoia”? Forse perché il generale Cialdini voleva vincere, lasciando che la fame e la peste, uccidesse i fratelli d’Italia, soldati, contadini, pescatori, donne e bambini fino allo sterminio totale, piuttosto che sacrificare un soldato piemontese.

Lui era stato soldato del Papa, poi dei francesi, dopo dei portoghese, ancora dagli spagnoli, e di nuovo del Papa e infine da piemontese, ottenendo la carica di Senatore e l’ordine della Santissima Annunziata, cariche volute, per i grandi meriti, dal re galantuomo Vittorio Emanuele II, re d’Italia e cugino del re Francesco II. (fonte Alianello: La conquista del sud)

1 commento

  1. Alianello, che era un romanziere, inventava panzane ma le scriveva in buon italiano. Soltanto nelle prime venti righe qui invece si contano ben otto errori. Ogni commento mi pare superfluo.

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