“In ospedale mi rassicurarono sulle sue condizioni”, morte Fecondo: parla imprenditore a processo

 
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L'operaio Giuseppe Fecondo morì dopo l'incidente sul lavoro

Gela. “In ospedale mi rassicurarono sulle sue condizioni. Mi dissero che erano buone nonostante la caduta. Con lui, c’era un rapporto anche di parentela”. L’imprenditore Davide Catalano, titolare della Cimet, ha descritto quanto accadde subito dopo l’arrivo al nosocomio di Caposoprano dell’operaio sessantaquattrenne Giuseppe Fecondo. Era precipitato dal tetto di un capannone della zona industriale, mentre lavorava per l’installazione di un sistema di pannelli fotovoltaici, per conto della società di Catalano. Il titolare è chiamato a rispondere di omicidio colposo. “Dopo, vidi due medici che iniziarono a correre e uno diceva all’altro “cosa hai fatto? Non te ne sei accorto?” – ha proseguito davanti al giudice Miriam D’Amore – a quel punto, iniziai a preoccuparmi e dopo sentii le urla dei familiari di Fecondo”. Dalla versione resa in aula, l’imprenditore sembrerebbe non trascurare l’ipotesi che il decesso dell’operaio possa essere stato causato da un’errata diagnosi. “Ero già in ospedale quando arrivò l’ambulanza – ha proseguito – Fecondo era vigile e lucido, si lamentava solo delle fratture”. L’imprenditore ha risposto alle domande del difensore, l’avvocato Fabrizio Ferrara, a quelle del pm Pamela Cellura e dei legali di parte civile, che rappresentano i familiari dell’operaio morto (gli avvocati Giacomo Di Fede, Cristina Guarneri e Rosario Giordano). A giudizio, c’è anche la Cimet, con il legale Francesco Giocolano.

In base alla ricostruzione dell’accusa, Fecondo sarebbe precipitato a causa della mancata adozione delle misure di sicurezza. Catalano ha negato. “Prima di iniziare i lavori – ha spiegato ancora – personalmente ho effettuato un sopralluogo sul tetto. C’era l’imbragatura. E’ vero, subito dopo l’incidente ho chiesto ad un altro dipendente di mettere in sicurezza il cantiere, ma solo per evitare che qualcuno potesse farsi male”. Durante l’udienza, è stato ascoltato anche il figlio dell’imprenditore, a sua volta impegnato nel settore. I legali di parte civile hanno sollevato qualche dubbio sulla firma apposta nell’atto di consegna a Fecondo dei sistemi di prevenzione. Secondo l’accusa, non è da escludere che l’operaio si trovasse sul tetto, ma senza alcun presidio di sicurezza.

1 commento

  1. Ricordatevi sempre che nel 99% dei casi l’operaio è pressato affinché il lavoro si faccia immediatamente… Con o senza imbracature. Si deve fare.. Il datore ovviamente non dirà mai queste cose. Dirà sempre che era tutto in regola che aveva visto personalmente e che prima viene la sicurezza…. Ecco quest’ultima è una favoletta.

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