Inchiesta “Fabula”, accuse a Cassarà: la sorella, “un poliziotto ci disse che volevano arrestarlo”

 
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Gela. “Già prima dell’operazione, un poliziotto ci disse che volevano arrestare mio fratello. Per me, era una cosa assurda. Lui è sempre stato dalla parte della legalità”. L’ha spiegato la sorella di Nicolò Cassara, ex titolare di una cava d’inerti e accusato di estorsione ai danni gli imprenditori Sandro Missuto e Francesco Cammarata, costituiti parti civili nel giudizio con gli avvocati Antonio Gagliano, Francesco La Rosa e Luigi Miceli Tagliavia. Cassarà, difeso dall’avvocato Giovanni Lomonaco, venne coinvolto nell’inchiesta “Fabula”, insieme al collaboratore di giustizia Roberto Di Stefano e a Davide Pardo. “La mia famiglia – ha proseguito la testimone – è stata vittima di estorsione già dal 1993”. Ha confermato che sarebbe stato il fratello a spingere alla collaborazione con la giustizia sia Di Stefano sia Emanuele Terlati. Proprio Roberto Di Stefano, che è stato reggente del clan Rinzivillo, venne ospitato nell’abitazione della donna, quando ritornò in città. Sarebbe stato l’imputato a mettergli a disposizione la casa.

“Ricordo che anche a Caltanissetta sapevano che ospitavamo il collaboratore Di Stefano – ha proseguito rispondendo alle domande del pm della Dda Luigi Leghissa e della difesa – in quel periodo, spararono un colpo di pistola al portone”. Cassarà ha sempre negato di aver chiesto la messa a posto ai due imprenditori che invece avrebbe conosciuto solo per ragioni lavorative.

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