Inchiesta “Polis”, difesa in aula: “Nessun patto tra gli Attardi e Cosa nostra”

 
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La Rosa e Attardi

Gela. Carlo Attardi e il padre Giuseppe Attardi non strinsero un patto con Cosa nostra niscemese, che invece secondo i pm della Dda di Caltanissetta gli aprì le porte del consiglio comunale e poi della giunta, dell’allora primo cittadino Francesco La Rosa. Il difensore dei due gelesi, coinvolti nell’inchiesta antimafia “Polis”, questa mattina, per diverse ore, ha richiamato i punti salienti dell’istruttoria dibattimentale e degli elementi di prova, alla base delle accuse. L’avvocato Flavio Sintra, legale dell’ingegnere Attardi e del padre, ha sostanzialmente negato ogni fondatezza di un presunto legame tra i gelesi e il boss Giancarlo Giugno, che secondo gli inquirenti per le amministrative del 2012 avrebbe assicurato il suo appoggio. “Attardi – ha detto il legale – non aveva alcun bisogno dei voti della mafia. Il suo successo elettorale, pur non essendo originario di Niscemi, si deve ad altri fattori. Anzitutto al suo fidanzamento con una ragazza della famiglia Mangione, molto nota a Niscemi e decisamente ampia. C’erano poi i suoi rapporti universitari, nel polo di Enna, dove aveva diverso seguito, e ancora il fatto che potesse contare su un certo voto di riconoscenza da parte dei lavoratori dell’azienda per la quale opera anche il padre. Non c’è alcun reato. Nessuno, neanche nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ha mai dichiarato di essere stato costretto a votarlo”. La difesa ha valutato anche la figura del boss Giugno, che secondo gli investigatori si sarebbe schierato per sostenere la coalizione di La Rosa, favorendo il successo elettorale di Attardi. “Si parla di appoggio della mafia – ha proseguito la difesa – quando in realtà è emerso che Giugno, in quella fase, non faceva certamente parte del gruppo dominante. Si era autoescluso. Per volontà, si era messo da parte e inoltre neanche i suoi familiari votarono per Attardi, avendo scelto di sostenere il cognato che era nelle liste di Di Martino”. I due gelesi, anche in aula, durante l’istruttoria, hanno respinto ogni collegamento con esponenti di organizzazioni mafiose. Nell’azienda per la quale operano, tanti dipendenti sono proprio niscemesi. Negli scorsi mesi, i pm della Dda hanno chiesto la condanna, per entrambi, a sei anni di reclusione. Carlo Attardi, entrato da consigliere comunale più votato in assoluto in quella tornata elettorale, divenne anche assessore. Il difensore ha citato episodi, emersi anche dalle intercettazioni, che dimostrerebbero l’assoluta estraneità degli Attardi. “Carlo Attardi – ha proseguito la difesa – conosceva il figlio di Giancarlo Giugno, perché entrambi erano studenti dell’Università di Enna. Non aveva mai visto Giancarlo Giugno. In una delle intercettazioni, quando glielo indicarono disse “questo mi mette ansia già solo a vederlo”. Si allontanò subito. Altro che patto con la mafia”. Oltre alle richieste di condanna per i due gelesi, la Dda ne ha formulate anche nei confronti dell’ex sindaco Francesco La Rosa (quattro anni di reclusione), di Francesco Spatola e Francesco Alesci (a sette anni di detenzione) e ancora di Salvatore Mangione e Giuseppe Mangione (a quattro anni).

Il Comune di Niscemi è parte civile, con il legale Massimo Caristia. La decisione del collegio penale del tribunale dovrebbe essere emessa alla prossima udienza. Nella stessa operazione fu coinvolto anche Francesco Spatola (difeso dall’avvocato Francesco Spataro). Optò per il rito abbreviato e dopo la riduzione dell’entità della condanna in appello (a quattro anni e otto mesi), di recente la Cassazione ha confermato, con la pubblicazione delle motivazioni. In primo grado, il gup del tribunale di Caltanissetta o condannò a sei anni e otto mesi di reclusione. Le difese che rappresentano gli imputati, nel procedimento in corso, sono sostenute dagli avvocati Gino Ioppolo, Giuseppe D’Alessandro, Rocco Di Dio e Claudio Bellanti.

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