Inchiesta “Samarcanda”, spaccio di droga in città: quattro condanne e altrettanti assolti

 
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Gela. La condanna con entità maggiore è stata pronunciata per Emanuele Di Stefano, che secondo le contestazioni era uno dei riferimenti del gruppo individuato con l’inchiesta “Samarcanda”. Quattro anni e tre mesi di reclusione (assolto per un capo) è la pena indicata dal giudice Miriam D’Amore, al termine del dibattimento. Da quanto emerso, era proprio Di Stefano ad avere i contatti diretti con chi gestiva lo spaccio di droga in città. Venne spesso monitorato dagli inquirenti insieme ad Emanuele Brancato, già condannato per l’inchiesta “Samarcanda” e ritenuto la vera mente di un sistema fatto di tanti clienti e di comunicazioni che avvenivano usando i vecchi telefoni cellulari e diverse schede per non essere intercettati dai poliziotti del commissariato. La condanna per Di Stefano è stata praticamente conforme alla richiesta avanzata dal pm Pamela Cellura (ha concluso per quattro anni e sei mesi). La difesa, sostenuta dall’avvocato Davide Limoncello, ha invece contestato la richiesta di condanna, mettendo ancora in dubbio le risultanze investigative. Secondo questa linea, non ci sarebbe mai stata un’attività di spaccio da parte di Di Stefano, ma eventualmente si sarebbe limitato ad un consumo personale. I rapporti con Brancato, inoltre, non sarebbero mai stati finalizzati all’affare della droga, che per gli inquirenti avrebbe avuto anche possibili contatti fuori dall’Italia e in Calabria. Un anno e sei mesi di detenzione è la pena imposta ad Antonino Ingegnoso, così come indicato dall’accusa. Era accusato di aver messo a disposizione le schede telefoniche usate per i contatti tra pusher e clienti. La difesa, sostenta dal legale Maria Elena Ventura, ha invece riferito di schede telefoniche che sarebbero state solo a disposizione di Ingegnoso, senza altre finalità. Condanne sono state pronunciate, ancora, per Diego Nastasi (un anno e tre mesi di reclusione) e per il figlio Giovanni Nastasi (un anno e due mesi). Le conclusioni del pm erano state più pesanti, con la richiesta di tre anni, ciascuno. Anche in questo caso, per le difese (i legali Dionisio Nastasi e Rocco Guarnaccia), in realtà non ci sarebbe stata alcuna attività di spaccio. L’assoluzione è stata emessa per Pasquale Trubia (difeso dal legale Flavio Sinatra), che proprio il difensore ha sottolineato che non ebbe mai alcun rapporto con gli altri imputati. La decisione favorevole nei suoi confronti è stata chiesta anche dal pm.

Assolti, inoltre, Davide Zisa e Serena Iannì, per i quali la richiesta di condanna era ad un anno e sei mesi di detenzione. Le contestazioni vertevano sul presunto favoreggiamento, negato invece dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Davide Limoncello. Dalle indagini emerse che alcuni degli imputati agirono anche per cercare di eliminare microspie che erano state scoperte. Assoluzione, infine, per Albina Radicia.

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