L’asse mafioso tra Gela e Niscemi, in Cassazione confermate le condanne: cade una delle aggravanti, va rivisto il ruolo di Musto

 
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Gela. Reggono, in gran parte, le accuse contro tre presunti

vertici dell’asse mafioso che cercava di riorganizzarsi tra Gela e Niscemi, al centro dell’inchiesta “Fenice”.

Cade una delle aggravanti. I giudici della Corte di Cassazione hanno confermato il nucleo portante delle contestazioni mosse ad Alessandro Barberi, Alberto Musto e Fabrizio Rizzo. I magistrati romani, però, hanno disposto l’annullamento della sentenza d’appello, con rinvio, per tutti gli imputati, rispetto all’aggravante dell’uso di fondi illeciti per il controllo di attività economiche. Una richiesta in tal senso era arrivata anche dalla procura generale. I giudici di secondo grado, quindi, dovranno rideterminare l’ammontare della pena, tenendo in considerazione quanto stabilito da quelli romani. Sono state quasi del tutto confermate le richieste rispetto alle posizioni del boss gelese Alessandro Barberi e di Fabrizio Rizzo, che in ogni caso si presenteranno nuovamente in appello per la rideterminazione della pena, come dettato dai giudici di Cassazione. I loro legali di fiducia, gli avvocati Flavio Sinatra e Antonio Impellizzeri, hanno invece ribadito la richiesta di annullamento del verdetto precedente, escludendo l’esistenza di un nuovo sodalizio mafioso, pronto a riorganizzarsi avendo come basi di riferimento proprio i gruppi storici di Gela e Niscemi. Barberi è già stato condannato a sedici anni di reclusione, in continuazione con una precedente sentenza; otto anni, invece, a Rizzo.

Il ruolo di Alberto Musto. Gli stessi magistrati romani, inoltre, hanno messo in discussione il ruolo di Alberto Musto, ritenuto dagli investigatori il vero pupillo del boss Giancarlo Giugno. Nei precedenti gradi di giudizio, è stato condannato a dieci anni e un mese di reclusione. Adesso, è stato disposto l’annullamento, con rinvio, rispetto al suo possibile ruolo di vertice nelle attività di ricostituzione della famiglia di cosa nostra. Un tassello difensivo che, già nei precedenti gradi di giudizio, era stato proposto, a suo sostegno, dal legale, l’avvocato Francesco Spataro. Insomma, i giudici di secondo grado dovranno nuovamente rivedere la posizione di Musto, soprattutto sul piano di un suo presunto ruolo strategico nel gruppo mafioso. I difensori dei tre imputati, nei precedenti gradi di giudizio, hanno messo in discussione le risultanze d’indagine, sottolineando anche l’infondatezza delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, con in testa Roberto Di Stefano, successivamente uscito dal programma di protezione e condannato nel procedimento scaturito dal blitz antimafia “Fabula”. Tra le accuse confermate contro gli imputati, quella legata alle richieste estorsive subite dai fratelli Lionti, imprenditori niscemesi, che si sono costituiti parte civile nei vari gradi di giudizio così come l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, rappresentata  dall’avvocato Giuseppe Panebianco. 

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