L’ultima cena

 
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Se state pensando che il titolo sottintenda qualcosa di sacro e pensate che vi dirò che vi sbagliate, pensate male e io non ve lo dirò.

Non vi sbagliate per nulla, solo che il concetto di sacro è un tantino diverso rispetto a quello che il titolo può far credere. Qui, si parla di Sacro Saro. Un concetto tutto basato sull’adorazione del Presidentissimo che ha portato i suoi amici, quelli di sempre e quelli dell’ultima ora, ad organizzare la sua venuta in città.

Il Presidentissimo era a Gela, sua città natale e trampolino di lancio della sua sfavillante carriera politica, umana e linguistica.

Bene. Uno si aspetta che il Presidente della Regione, nativo di Gela che qui torna, ritenendo peraltro di aver “governato come un angelo”, accolga tutti in una piazza, tra la gente. E invece no. Il Presidentissimo ha accolto – pochi – in una location degna, almeno per i colori, di un film di Ozpetek.

Invitati e curiosi, fedelissimi (issimissimi), tutti sicuri di esser lì, però, per qualcosa e non per qualcuno.

Niente piazza però, niente gente dell’ultima ora fermatasi ad ascoltare un uomo di Gela che da qui ha iniziato. I soliti noti eran lì, come ogni volta ovviamente, e poco mancava che, in cerchio, recitassero preghiera di adorazione. Alcuni, per esempio, stringevano le mani come se, da quelle, passasse una benedizione speciale e illuminata che, per osmosi, il Presidentissimo gli aveva insegnato a passare. Diffondendo così amore.

Altri, incuranti della loro lingua penzoloni, scambiavano baci e abbracci calorosi quasi fosse Natale e, da un momento all’altro, pareva dovessero gridare, “è nato, è nato!”.

Altri, vedi sindaco e assessore a seguito erano lì per caso o per “cortesia istituzionale”, magari teletrasportati da una navicella spaziale che li aveva catapultati proprio lì e disorientati non sapevano cosa fosse accaduto. Questa ipotesi è vera tanto quanto le smorfie di Barbara D’Urso quando finge dispiacere.

Eppure, tutto sembrava un grido di disperazione e per quanto tutti sembrassero su di giri – segno evidente che la consapevolezza è un viaggio faticoso che non tutti possono permettersi – la scelta di non andare tra la gente e di ritrovarsi lì, quasi come in un incontro per pochi (pochissimi), faceva quasi a pugni con l’entusiasmo degli amici di Crocetta e del Presidentissimo stesso. Affaticatissimi nell’organizzar tutto nei minimi dettagli, ebbri di gratitudine nei confronti del Re Sole, non avevano fatto i conti con l’ipotesi più importante, un Presidente che torna a casa propria dovrebbe essere atteso dalla città tutta e io – la città tutta – non l’ho vista.

A meno che, certo, qualcuno non fosse stato nascosto e chiuso a chiave in qualche stanza e liberato solo dopo. A notte fonda però.

E qui veniamo alla guest star della serata, arrivata in notevolissimo ritardo, come una diva di tutto rispetto che si fa attendere.

Appena arrivato, manco a dirlo, le attenzioni son tutte per lui e lui la scena se la prende, eccome. In questo è un portento, bisogna riconoscerlo.

Chi lo aveva preceduto, nell’introdurre la serata, sembrava solo in attesa di introdurlo, di vederlo, sorridergli, passargli il microfono, e basta.

Rimanendogli accanto, ovvio! E senza spostarsi di un centimetro.

E lui, l’uomo che riparte dal prato di una Villa-ristorante, il microfono se lo prende e ringrazia le “tante facce belle” presenti lì, arrivando addirittura a citare il Don Chisciotte di Cervantes.

Poi – eccolo Saro Samurai – tutto quello che ne è venuto dopo, quello che ha detto non è nuovo, lo dice da Giletti quando pronuncia numeri esorbitanti di questo o quel cantiere; lo ribadisce a sé stesso quando dice “io non sono il pupo di nessuno”. Questo è vero, lui il pupo non lo fa, ma di pupi, intorno, ne ha tanti.

Ciò che abbiamo scoperto è che il Presidentissimo dorme cinque ore a notte, per il resto pensa solo alla Sicilia. E questo, per esempio, non lo sapevamo. Non ha specificato, però, se soffre di insonnia o, invece, è sonnambulo, quindi dorme sì, ma cammina nella notte mentre ripete numeri.

Il resto?

Il resto lo ha detto lui mentre si dimenava in mezzo ai suoi fedelissimi e lo ha gridato dal microfono, così come un tempo lo gridava dalla piazza, quando ancora non sapeva di essere “uno che governa come un angelo”, “io ero Saro e Saro resto”.

Anche questo è vero Presidente. Lei resta Saro. Saro solo.

Ps. “ma l’ora dei preamboli è finita

È l’ora che si vada a incominciar

A tessere la trama e poi l’ordito

A svolgere, cucire e ricamare,

Che squillino le trombe Signori spettatori

Inizia la commedia che parlino gli attori”

-Cyrano de Bergerac – (Edmond Rostand)

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