La fine del regno di Sicilia, il casato del principe Carlo Filangieri

 
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Gela. L’autore del testo “La fine di un Regno”, aveva appena 3 anni, quando il re Ferdinando II di Borbone, decise di ripristinare il ministero di Sicilia e Napoli e il 27 settembre 1849 la luogotenenza in Sicilia. Con questo decreto, il re Borbone, obbligava i siciliani a contribuire per un quarto alle spese del regno delle due Sicilie e della casa reale. Affidando l’incarico al luogotenente nominato e un consiglio di 4 persone. Il principe di Satriano, Carlo Filangieri, in un primo momento rifiutò l’incarico per due ordini di motivi; uno riguardava la sua età avanzata e l’altro le enormi difficoltà esistenti tra il responsabile del ministero a Napoli e il luogotenente in Sicilia. L’accettazione dell’incarico costò al principe molte tristezze che colmarono con le sue dimissioni e con la consapevolezza che il regno di Sicilia, presto o tardi, sarebbe stato perso dai Borboni. Con il suo lavoro, che si sviluppò nei 4 mesi che fu al governo dopo la morte di Ferdinando II, cercò l’alleanza col Piemonte per la formazione di due grandi stati a nord e sud dell’Italia confederati contro gli stranieri e indipendenti. Questi nuovi provvedimenti non furono accettati, perché il clero e la nobiltà si sentirono minacciati e optarono per la restaurazione dello stato Borbonico per reintegrare nelle plebi cittadine e campagnole l’ordine e la tranquillità sociale. Infatti, appena Catania fu occupata dalle forze regie, la guardia nazionale e il senato di Palermo, inviarono a Caltanissetta una delegazione per portare le chiavi della città di Palermo al Filangieri, implorando la sottomissione della Sicilia al sovrano. Così finiva la rivoluzione dell’isola del 1848 con un esempio di virtù politica, che da principio s’impose al mondo. Durante il periodo della sua presenza a Messina, il Filangieri si era circondato di personaggi da lui scelti e presentati al re, tra questi Cassisi che riteneva essere una persona intelligente e seria e dal re fu prima nominato commissario civile e poi ministro di Napoli e Sicilia.

La scelta di Cassisi non fu felice, perché pur essendo siciliano si oppose a tutte le iniziative di Filangieri, tanto da costringerlo a dimettersi. Altra persona suggerita dal principe Filangieri fu Salvatore Maniscalco che pur essendo di famiglia Palermitana fu considerato Messinese per nascita, giovane capitano di gendarmeria, si comportò benissimo nell’esercizio delle sue funzioni fino all’arrivo di Garibaldi quando si chiuse nel suo ufficio e ne usci dopo la capitolazione.
I contrasti con Cassisi furono tremendi e incrementarono con l’avvio degli studi per aggiornare la rete stradale in Sicilia, molto carente e difficile da percorrere: da Catania a Palermo erano necessari 4 giorni. Cassisi, da buon siciliano, scrutava e poneva ostacoli senza la minima giustificazione. Il regno delle due Sicilie, pur nelle difficoltà economiche riscuoteva grandi successi tra le popolazioni tanto che il “Giornale di Sicilia”, dopo la pubblicazione della fucilazione di tre detentori di armi: Francesco Giacalone, Francesco Davì e Giuseppe Pria, i tre furono graziati con questo annuncio: “Ma sappia il mondo che dove la morte si cangia in vita, dove alla tristezza succede l’esultanza, dove al disordine succede la calma, è Ferdinando II che regna e Carlo Filangieri che lo rappresenta”.
Il viaggio che decide di fare il re Borbone in Calabria e Sicilia, il 23-24-25 e 26 del settembre 1852, ci dimostra la grande accoglienza dei popoli alla vista del re e del suo successore, che allora aveva 15 anni e nello stesso tempo le gravi difficoltà incontrate durante il percorso per le strade impraticabile del regno. Le truppe si concentrarono nei dintorni di Lagonegro, mentre il re imbarcato sul fulminante con tutto il suo seguito, sbarcava il 28 alla rada di Sapri. Il viaggio è stato descritto con dovizie di particolari dallo scrittore Raffaele De Cesari e la cosa più interessante è la descrizione per raggiungere Mongiana durante la notte, fu impossibile per la carrozza reale che non riusciva a venire fuori dall’arenile del fiume e a malincuore dovette fermarsi a Pizzo, distante 2 ore di marcia dal ponte sull’Angitola in cui si trovava, mentre per Mongiana erano necessari almeno 4 ore di marcia. Una volta raggiunta Mongiana, la grande fonderia militare e fabbrica d’armi del regno, Ferdinando II, vi rimase due notti.
La sera del 18 del mese di ottobre, giunse a Monteleone senza prima avere suggerito al comandante Pacifico di scrivere una nota al D’Agostino, capo a Catanzaro, dove erano elencati delle misure urgenti da apportare alla fabbrica di Mongiana, tra cui la strada per raggiungerla e le infrastrutture da completare. Il viaggio continua per la Calabria fino a Reggio, dove si imbarca per Messina e Catania, senza trascurare quello che riteneva urgente per la Sicilia e nella nota scritta sono comprese le strade di Terranova e Piazza Armerina e tante altre strade, trascurando nella visita la città di Palermo per motivi politici. Palermo manda dei suoi rappresentanti per consegnare le chiavi della città al Filangieri e la sottomissione al re. Il Filangieri, in Sicilia si era comportato onestamente pur sopportando tutte le inchieste aperte dal Cassisi sul suo operato nell’isola. Il principe aveva reso autonomo il Banco, aveva istituito il Gran libro del debito pubblico, creato la Borsa, incrementato gli insegnamenti universitari con muove materie di studio e con decreto del 20 marzo 1852, rendeva alienabili gli immobili appartenenti al demanio, ultimò la bellissima Palermo-Messina e permise il completamento di molte opere ostacolate dalle inchieste del Cassisi che per accaparrarsi la simpatia dei siciliani studiò di tenere vivo in essi il sentimento di una ragionevole autonomia, dissipando l’odio verso Napoli.

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