La mafia gelese nel Nord Italia, in appello chiesta la conferma di tutte le condanne

 
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Gela. Le condanne di primo grado vanno confermate e rafforzate. La procura generale, nel giudizio di appello scaturito dall’inchiesta antimafia “Tetragona”, ha chiesto la condanna di tutti gli imputati, compresi quelli assolti dal collegio penale del tribunale di Gela. Sono accusati di aver avuto un ruolo nella gestione degli affari illeciti di cosa nostra gelese, ramificata nel Nord Italia. I verdetti più pesanti furono pronunciati per Emanuele Monachella, Armando D’Arma, Salvatore Burgio e Aldo Pione. A Monachella, venne riconosciuta l’appartenenza al clan di cosa nostra, attivo soprattutto a Genova, oltre alle presunte estorsioni ai danni dell’imprenditore edile Emanuele Mondello. Così, alla condanna a 3 anni e 6 mesi si aggiunse quella a 10 anni e 6 mesi. Per Armando D’Arma, il collegio pronunciò la condanna a 3 anni e 6 mesi e quella a 8 anni e 6 mesi. Stando ai magistrati della Dda avrebbe preso parte al giro d’estorsioni controllato dai clan locali. L’appartenenza a cosa nostra venne riconosciuta all’anziano geometra Salvatore Burgio. Il professionista fu condannato a 9 anni di reclusione. 9 anni sono stati inferti anche ad Aldo Pione. I magistrati lo ritennero il collegamento strategico tra la provincia di Varese e il boss Gino Rinzivillo che faceva base a Roma. 8 anni e 6 mesi di reclusione per l’ex ambulante Giuseppe Piscopo, accusato di aver sottoposto ad estorsione i titolari di due supermercati a Caposoprano e Scavone. 3 anni, ancora, per Nunzio Cascino; 2 anni e 6 mesi per il collaboratore di giustizia Fortunato Ferracane; 3 anni e 6 mesi, a testa, per Angelo Greco e Giuseppe Truculento; 1 anno e 6 mesi per l’altro collaboratore Orazio Marcello Sultano; 4 anni e 4 mesi di reclusione, infine, per Alessandro Farruggia, ritenuto coinvolto nella tentata estorsione ai danni del gruppo imprenditoriale gestito dai fratelli Brigadieci. Le assoluzioni arrivarono per i collaboratori di giustizia Rosario Trubia e Nunzio Licata e, ancora, per Pietro Caielli, Claudio Conti e Sebastiano Pelle. Adesso, davanti alla Corte di appello di Caltanissetta, la procura generale ne ha chiesto la condanna, sostenuta dalle parti civili.

L’inchiesta “Tetragona”. Nel giudizio, sono costituiti il Comune, Confindustria provinciale, la federazione antiracket nazionale, l’associazione “Gaetano Giordano”, con l’avvocato Giuseppe Panebianco, l’imprenditore Emanuele Mondello, rappresentato dal legale Vittorio Giardino, e i titolari di due supermercati presi di mira. Uno dei difensori, l’avvocato Giacomo Ventura, ha esposto le proprie conclusioni, ribadendo l’assenza di elementi certi che possano provare l’appartenenza degli imputati all’organizzazione mafiosa, che avrebbe avuto un ruolo nella gestione di una serie di affari illeciti, anche fuori dalla Sicilia. Gli altri difensori concluderanno alla prossima udienza. Nel pool che rappresenta gli imputati, ci sono i legali Antonio Gagliano, Flavio Sinatra, Cristina Alfieri, Francesco Enia e Boris Pastorello.

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