La morte di Francesco Romano, uno degli investigatori: “Crollò la catasta di tubi…il caschetto vicino ad una pozza di sangue”

 
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Gela. La catasta di tubi sarebbe stata collocata in un’area non idonea, lungo la radice

pontile della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore.
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L’area di cantiere. A sostenerlo in aula, nel corso del dibattimento scaturito dalla morte dell’operaio trentenne Francesco Romano, è stato uno dei militari della capitaneria di porto che ha svolto le indagini successive all’incidente costato la vita all’allora dipendente dell’azienda Cosmi Sud. “In quella catasta – ha spiegato il testimone – c’erano quindici o sedici tubi da ventiquattro metri, più due da dodici metri. Erano collocati in maniera piuttosto squilibrata e il crollo causò la morte di Romano che venne travolto”. Durante la ricostruzione fornita in aula, davanti al giudice Miriam D’Amore, il militare ha confermato tutti i suoi dubbi sull’effettivo rispetto delle norme di sicurezza. “A puntellare quei tubi c’erano dei pezzi di legno che non avevano alcuna presa – ha continuato – la catasta si trovava su una superficie cilindrica e c’erano ancora i binari di una vecchia linea”. Tutti fattori che avrebbero favorito, almeno stando al testimone, il crollo dei tubi che travolsero l’operaio impegnato, nel novembre di cinque anni fa, nei cantieri per la realizzazione della linea P2 bis, proprio all’isola sei della fabbrica, lungo la radice pontile.
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“Ricordo che arrivai poco dopo l’incidente – ha concluso – a terra, vidi subito un caschetto da lavoro, con su scritto il cognome Romano, era a pochissima distanza da una vasta pozza di sangue”. A rispondere di quei fatti, ci sono manager Eni, vertici di Cosmi Sud e responsabili delle società incaricate di garantire la sicurezza tra gli impianti della raffineria. Si tratta di Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Fabrizio Lami, Mario Giandomenico, Angelo Pennisi, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Guerino Valenti, Rocco Fisci, Salvatore Marotta, Serafino Tuccio e Vincenzo Cocchiara.
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Il testimone ha risposto alle domande del pm Luigi Lo Valvo e dei difensori di tutti gli imputati che, comunque, hanno cercato di acquisire ulteriori elementi rispetto alle indicazioni fornite dal militare. Parti civili, invece, sono i familiari dell’operaio morto, rappresentati dagli avvocati Salvo Macrì, Emanuele Maganuco e Joseph Donegani, che già in fase di indagine hanno ribadito che quella morte si sarebbe potuta evitare, attuando le necessarie precauzioni nell’area di cantiere.

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