La nuova stidda, arrivano gli annullamenti della Cassazione: “abbattuta” la condanna di Palazzo

 
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Gela. Da dodici anni di reclusione a quattro anni e otto mesi. L’annullamento per Palazzo. I giudici della Corte di Cassazione hanno annullato senza rinvio la sentenza di condanna emessa, nel febbraio di un anno fa, nei confronti di Emanuele Palazzo. Finì al centro del blitz “Agorà”. Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta e per i carabinieri è il vertice di riferimento della nuova stidda locale. I giudici romani hanno accolto, in gran parte, le richieste arrivate dal suo difensore di fiducia, l’avvocato Maurizio Scicolone. Il legale ha sottolineato come nei gradi di giudizio precedenti fosse stata calcolata in maniera errate l’entità della pena imposta allo stesso Palazzo, attualmente sottoposto al regime del 41 bis. Cade la recidiva e cadono gli aumenti di pena decisi, soprattutto dal gup del tribunale di Caltanissetta, a conclusione del giudizio abbreviato. Emanuele Palazzo venne condannato a sedici anni di detenzione, ridotti a dodici anni dalla Corte d’appello nissena. A questo punto, la difesa si prepara a depositare una richiesta di scarcerazione anticipata. Palazzo avrebbe già scontato l’ammontare della pena rimasta in piedi.

Giudizi favorevoli anche per Tomaselli e Romano. Annullamenti sono stati decisi anche per Massimiliano Tomaselli e Giuseppe Alfio Romano, difesi dagli avvocati Flavio Sinatra e Cristina Alfieri. Anche in questo caso, i legali hanno sottolineato le anomalie nella determinazione delle pene rispetto ai reati contestati ai due imputati, ritenuti attivi nel mercato della droga. Tomaselli venne condannato in appello a cinque anni e otto mesi di reclusione, per Romano la condanna fu di tre anni. Non è stato accolto, invece, il ricorso presentato in favore di Alessandro Peritore, difeso sempre dall’avvocato Maurizio Scicolone. A contestare la condanna a sei anni di reclusione imposta ad Orazio Curvà è stato il suo difensore di fiducia, l’avvocato Salvo Macrì. La difesa, già durante il giudizio di appello, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale circa l’impossibilità dell’imputato di accedere all’eventuale patteggiamento.

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