La retorica dell’antimafia e la tv spazzatura

 
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Aveva proprio ragione il maestro Umberto Eco, quando con sarcastico disgusto, affermava che il web ha dato diritto di parola pure agli imbecilli.

A me questa retorica dell’antimafia fa venire i conati di vomito: tutti a stabilire quale atteggiamento si può qualificare “mafioso” e quale invece “antimafioso”.

Alla notizia che Riina junior sarebbe stato ospite a Porta a Porta i social si sono trasformati in una sorta di bollettino antimafioso, a chi la sparava più grossa contro il giornalista improvvido o contro il boss stragista.

Premetto di non avere alcuna simpatia e/o stima per Vespa che considero un giornalista di regime, capace di cavalcare tutti i palcoscenici politici e di resistere a qualsivoglia onda rivoluzionaria; pur tuttavia reputo altrettanto maldestro il tentativo di delegittimarne l’opera giornalistica.

Non è certo il primo giornalista che si imbatte in interviste di tal guisa: rimasta agli annali della storia l’intervista del 1971 di Mario Francese a Antonietta Bagarella, detta Nina, allora fidanzata (oggi sposa) di Totò Riina o le interviste di Enzo Biagi a Luciano Leggio (o Liggio), a Buscetta e a Cutolo o ancora quella di Giuseppe Marrazzo allo stesso Cutolo.

Che piacciano o no, esse costituiscono frammenti importanti della storia giornalistica italiana perchè dipingono fatti ed emozioni che mai nessun atto giudiziario né alcuna sentenza sono riusciti ad evidenziare: io posso senza ombra di dubbio affermare che tali interviste siano servite ad ampliare il mio bagaglio culturale sulla mafia ed in particolare sulla mentalità mafiosa che ha animato quegli anni e quei personaggi.

E allora a cosa è dovuto lo scandalo che ha investito l’intervista di Vespa a Riina Junior?

Al pericolo di emulazione? Alla circostanza che il male non vada raffigurato? Oppure, accordando un certo ragionamento filosofico, al fatto che non parlandone il problema non esista o piuttosto si dissolva, come per magia?

Certo Vespa non è Biagi e forse il suo intento era più legato agli indici di ascolto che al dovere di informazione e di lotta alla mafia ma ciò non è sufficiente ad invocare la censura.

Mette tristezza che anche fior di intellettuali, evidentemente senza memoria, si siano scagliati contro questa messa in onda nella rete nazionale senza riflettere sulla circostanza che la stessa rete ci propone quotidianamente reality a iosa e programmi ricreativi in genere che non danno spazio alcuno al cervello dei telespettatori, riducendoli a meri assorbenti asettici di immagini.

Sarebbe quindi, opportuno, scandalizzarci per il livello becero di programmazione del palinsesto delle reti nazionali che, lungi dallo sviluppare negli utenti capacità di ragionamento critico, li inquadrano nell’ottica di sudditi/elettori devoti al potere dominante.

In altre parole: se il potere ci volesse esseri pensanti e consapevoli userebbe la televisione e in genere i mezzi di comunicazione di massa allo scopo di informarci e di forgiare in noi un atteggiamento critico verso ciò che ci succede attorno ed in questa prospettiva nessuna immagine e nessuna intervista potrebbe suscitare in noi sentimenti di scandalo e/o di paura.

Invece è forse la paura che ha fatto gridare allo scandalo: la paura che non siamo pronti ad ascoltare la verità perché assuefatti e distratti dalle favole. Certo, una parte di verità, la verità del male se vogliamo, ma comunque innegabilmente una verità storica.

C’è chi obietterà che ciò di cui ci si lamentava non era l’intervista in sé quanto piuttosto la promozione di un libro scritto da un criminale, figlio del boss mafioso per eccellenza.

A parte che anche su questo punto potrei avanzare delle riserve, in ogni caso la polemica precauzionale preordinata alla censura preventiva non è mai la soluzione posto che la limitazione della libertà di parola e pensiero è in contrasto coi principi fondamentali della nostra Costituzione ed evoca il periodo più buio della storia italiana quando durante il fascismo era utilizzata dal potere per azzittire opinioni anti-regime che potessero far vacillare il sistema dominante.

E poi chi lo stabilisce che è più meritevole di rappresentazione il parlamentare pluripregiudicato che viene a farci la manfrina a Porta a Porta sulla nuova legge-truffa approvata dalle Camere?

Ed ancora: chi mai potrà negare, con coscienza, che il figlio del boss, sebbene anche lui condannato per associazione mafiosa, abbia sofferto le pene dell’inferno per essere nato e cresciuto in quella famiglia nonostante con occhi fissi e inespressivi venga a dirci di aver vissuto un’infanzia diversa ma serena?

A me, piuttosto, dell’intervista ha impressionato l’omertà che ha caratterizzato il parlare di Riina junior così come omertose sono state le risposte dei mafiosi intervistati da Biagi; altrettanto singolare è stato l’abuso delle parole amore e rispetto verso la famiglia e i genitori, il richiamo alla morale religiosa con il corollario che non è compito degli uomini giudicare i propri simili che saranno giudicati al cospetto di Dio, quasi a voler tirare le orecchie ai collaboratori di giustizia, i c.d. “pentiti”.

In questo modo infangando la memoria di Falcone e Borsellino che per avere introdotto lo strumento del pentitismo nella lotta alle “mafie” sono morti ammazzati, su mandato del padre, così dice la storia giudiziaria.

Nessuna presa di distanza dal padre, quindi, del quale, anzi, si è rammaricato di non potersene occupare in vecchiaia.

Certo, i nostri amati Giudici si rivolterebbero dalla tomba a sentirlo parlare così ma stessa reazione avrebbero difronte all’utilizzo abnorme e spropositato che si fa oggi del termine “antimafia”.

In suo nome sono state costruite carriere giornalistiche e/o politiche ad hoc che nulla hanno a che vedere con la legalità che necessita, per il suo stratificarsi come humus culturale, di equilibrio e pacatezza, come Falcone e Borsellino ci hanno insegnato nel loro operare silenzioso e fruttuoso.

Al bando, dunque, proclami e vessilli avvertendo le nuove generazioni che accostare il termine “mafia o mafioso” ad ogni genere di “delinquenza o deliquente” che si sviluppa nel Meridione, significa ingigantire e nel contempo sminuire il problema, dando spazio ad ogni forma di populismo “antimafioso” che negli ultimi venti anni ha affossato ancor più questa Terra tanto magica quanto disgraziata.

Franca Gennuso

 

 

 

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